Negli ultimi anni abbiamo assistito a un’esplosione di informazioni provenienti dalla genetica e dalla biologia che hanno aperto la strada a una migliore comprensione della fisiologia e della patologia di numerose malattie. Lo studio della dislipidemia non fa eccezione: con l’avvento di nuove tecnologie per lo studio del codice genetico, la conoscenza della genetica umana delle lipoproteine è progredito notevolmente. Sono i temi del meeting “Lipids & lipoproteins atherosclerosis: from genes to therapy”, dedicato ai progressi della genetica nella comprensione e nella lotta all’aterosclerosi e tenutosi a Praga durante l’85mo Congresso della Società Europea di Aterosclerosi.
Il meeting è stato promosso dalla Fondazione Internazionale Menarini ed è stato presieduto da Alberico Catapano, Docente di Farmacologia all’Università di Milano e past-President della Società Europea di Aterosclerosi. «L’applicazione di queste tecnologie, parallelamente alla comprensione delle basi metaboliche per le forme genetiche delle dislipidemie, ha posto le basi per l’identificazione di possibili target per l’intervento farmacologico e per lo sviluppo di nuovi farmaci» spiega Catapano.
Uno dei temi centrali del meeting è stato il ruolo della lipoproteina(a) nella stima del rischio cardiovascolare. In diversi studi infatti è stata riportata la capacità di questa particella, simile a quelle del colesterolo LDL, di promuovere trombosi e infiammazione. È però più difficile individuarla, perché la sua distribuzione nella popolazione non è normale, ma è fortemente asimmetrica e questo può essere causa delle difficoltà nell’accertare il peso di lipoproteina(a) nella stima del rischio di aterosclerosi.
«Recentemente sono state trovate due varianti genetiche caratterizzate da livelli particolarmente alti di lipoproteina(a) di piccole dimensioni e ambedue le varianti sono associate a un elevato rischio cardiovascolare. La prevalenza di queste varianti genetiche non è nota però secondo recenti studi una persona su sei è portatrice di una di queste due varianti, quindi con livelli più elevati di lipoproteina(a), e con un rischio di infarto doppio rispetto ai soggetti con genotipo diverso. Inoltre, i soggetti portatori di entrambe le varianti hanno un rischio elevato di più di quattro volte» aggiunge Catapano.
Un secondo tema affrontato durante il meeting riguarda l’ipercolesterolemia familiare. È una malattia genetica, un disturbo del metabolismo lipidico, causato dalla mutazione di tre geni, che porta a un severo aumento delle proteine LDL. La forma predominante, quella eterozigote, è più frequente di quanto si pensasse (nel mondo un caso su 200 anziché uno su 500). Stesso discorso per la forma più rara, quella omozigote: si ipotizzava un caso su un milione, invece crediamo che sia uno su 300mila. I pazienti sviluppano malattie cardiovascolari 10-15 anni prima della media della popolazione. Nei casi più gravi possono avere un infarto anche a due-tre anni di vita, e in generale sopravvivono molto meno rispetto alla media della popolazione.
«Per questo motivo bisogna rendere consapevoli gli italiani del ruolo della componente genetica nell’ipercolesterolemia. Le persone considerano erroneamente i livelli alti di colesterolo come un fattore di rischio meno pericoloso rispetto ad altri fattori. In realtà il colesterolo geneticamente elevato è un fattore determinante per l’aumentato rischio cardiovascolare dei soggetti che ne sono affetti, cioè per la possibilità che si verifichi un infarto. Quindi, se il valore del colesterolo LDL è oltre 190, bisognerebbe far controllare tutti i parenti in linea diretta: genitori, fratelli e figli». Quali sono i segnali di allarme di ipercolesterolemia familiare? Un segno tipico è la frequente comparsa (dopo i 30-40 anni negli eterozigoti ed entro i primi quattro anni di vita negli omozigoti), di xantomi, cioè accumuli di grasso che si possono formare a livello dei tendini negli eterozigoti (xantomi tendinei) e a livello della cute dei gomiti e delle ginocchia negli omozigoti (xantomi cutanei). Altri segni spesso presenti negli eterozigoti sono gli xantelasmi (accumuli di grasso che si formano all’esterno dell’occhio ) e l’arco corneale (piccola lunetta o anello grigio che si forma all’interno dell’occhio, alla periferia dell’iride). Gli omozigoti hanno un quadro clinico più grave. L’ipercolesterolemia è molto elevata (550-1000 mg/dl) con xantomi cutanei riscontrabili entro i primi 4 anni di vita. I problemi cardiovascolari iniziano già nell’infanzia e, in assenza di trattamento, spesso determinano la morte per infarto prima dei 20 anni.
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