Attualmente il ruolo dell’acido urico nella malattia cardiovascolare viene attentamente considerato, dal momento che numerosi studi lo indicano come fattore di rischio indipendente sia per malattie cardiovascolari, sia renali. Altri studi hanno mostrato che l’iperuricemia predice l’insorgere di ipertensione, sindrome metabolica, obesità, malattia renale e diabete. «Nella popolazione generale di molti paesi la concentrazione di acido urico nel sangue è in progressivo aumento. Negli Stati Uniti le prime osservazioni, risalenti al 1924, riportano valori medi nella popolazione maschile di circa 3,5 mg/dL. Tali valori sono saliti a 6,0-6,5 mg/dL negli anni ’60 e sono in ulteriore aumento» avverte Claudio Borghi, docente del DIMEC-Dipartimento di Medicina e Chirurgia dell’Università di Bologna e presidente di un simposio dedicato al ruolo dell’acido urico nelle patologie cardiovascolari. L’incontro, dal titolo “Uric acid cardiovascular disease: back to pathophysiology” è stato organizzato dal DIMEC e dall’Università di Denver, Stati Uniti, e promosso dalla Fondazione Internazionale Menarini, ed ha confermato che la presenza di elevati livelli di acido urico ha un ruolo nella comparsa di problemi circolatori, come la gotta, e rappresenta anche un fattore di rischio per eventi cardiovascolari e malattie renali, soprattutto in pazienti con ipertensione, insufficienza cardiaca e diabete. «Il problema non riguarda soltanto gli Stati Uniti. Variazioni analoghe sono state rilevate in Europa, Cina, Nuova Zelanda» aggiunge Borghi. «Lo studio NHANES, condotto su 18.825 soggetti adulti di entrambi i generi, ha dimostrato la presenza di valori elevati di uricemia superiori a 7,0 mg/dL nel 21,2% degli uomini e a 5,7 mg/dL nel 21,6% nelle donne in età fertile. Ed è elevata, fra questi soggetti, la percentuale di quelli che non seguono alcun trattamento dietetico o farmacologico, con un progressivo aumento dei casi di gotta».Sebbene le stime parlino di circa 13 milioni di italiani con l’uricemia oltre la norma, la maggior parte non lo sa perché pochi la controllano, pochissimi di routine: appena il 2% della popolazione sa che cosa sia l’acido urico o l’ha mai misurato, mentre il 70% di chi ha misurato almeno una volta l’uricemia non ripete il test, oppure lo ripete di rado. «Lo stesso studio NHANES conferma un’associazione indipendente tra elevati livelli di acido urico e mortalità cardiovascolare, sia nel sesso femminile sia in quello maschile» avverte Borghi. E nello studio MRFIT (Multiple Risk Factor Interevention Trial Study), un’altra indagine epidemiologica effettuata su 7978 ipertesi, con follow-up di circa 7 anni, l’acido urico risulta essere un fattore prognostico indipendente di eventi cardiovascolari». L’aumento dei livelli di acido urico è verosimilmente dipendente da modificazioni dell’alimentazione. «In tutto il mondo si è verificato un importante incremento di ipertensione, e di valori di acido urico. Negli ultimi decenni si è verificato un grande aumento nel consumo di bevande gassate e zuccherate, contemporaneo all’aumento di ipertensione e obesità» avverte Daniel Feig dell’University of Alabama a Birmingham, Stati Uniti. «L’iperuricemia indotta da diete troppo ricche di zuccheri potrebbe avere un ruolo nell’aumento mondiale di prevalenza dell’ipertensione. Anche l’ingestione di altri alimenti, come i pasti grassi ricchi di carni rosse e di bevande alcoliche, in particolare la birra, possono contribuire ad aumentare i valori di acido urico e quindi favorire una maggiore diffusione dell’ipertensione».
Anche alcuni farmaci, tra cui proprio i farmaci per il controllo della pressione, possono alzare i livelli di sfido urico. «Diversi farmaci antipertensivi comunemente utilizzati, come i farmaci diuretici o i beta-bloccanti, possono avere come effetto collaterale l’aumento dei livelli di acido urico» conferma Stefano Taddei, Dipartimento di Medicina Clinica e Sperimentale dell’Università di Pisa. «Si tratta in generale di innalzamenti molto modesti, ma che il medico dovrebbe prendere in considerazione, soprattutto quando tratta pazienti affetti da iperuricemia o da gotta. Alcuni farmaci antipertensivi però contribuiscono anche a ridurre l’acido urico: nello studio LIFE (Losartan Intervention for Endpoint Reduction in Hypertension Study), utilizzando il losartan, un antagonista dell’angiotensina II, si è osservata una positiva relazione tra la riduzione del livelli di acido urico e della pressione, rispetto al beta-bloccante atenololo».
Ma a quale livello di acido urico bisogna intervenire, e come? Secondo Claudio Ferri, Divisione di Medicina Interna e Nefrologia all’Università dell’Aquila, diversi dati indicano che livelli di acido urico favoriscono la comparsa di sindrome metabolica oltre il range di normalità, cioè con un valore superiore a 5,0 mg/dL. «Alti livelli di acido urico sono direttamente correlati con indice di massa corporea, circonferenza addominale, pressione del sangue, livelli di glucosio e insulina, trigliceridi. In più l’incremento dei livelli di acido urico, anche a concentrazioni relativamente basse, è associato a un rischio cardiovascolare elevato» spiega Ferri. «Sotto un profilo pratico, diventa sempre più importante investigare la possibilità di ridurre i livelli di acido urico nella popolazione generale sotto il livello di 5,0 mg/dL. È necessario prima di tutto modificare l’approccio alimentare nella popolazione generale e successivamente utilizzare nuovi e potenti farmaci inibitori dell’acido urico come febuxostat. Infine indagare la possibilità che alcuni nutrienti, quali kampferolo (presente in cavolfiore, cavolo cappuccio, cavolo verza, cavolo nero, cavolo rosso, cavolo riccio, cavolini di Bruxelles, crescione, ravanello, rucola, senape), baicalina (presente nella scutellaria, una pianta erbacea perenne) e caffeina possano cooperare nel ridurre una concentrazione elevata di acido urico nei soggetti sintomatici».
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