17mila bambini in meno nati in un anno in Italia e nel 50% dei casi dipende dall’uomo, che non effettua screening e prevenzione.
A 18 anni già il 25-30% degli uomini presenta patologie che potranno condizionare la possibilità di avere figli da adulto.
Se ne parla al convegno internazionale sull’infertilità di Roma, promosso dal prof. Ermanno Greco, direttore del Centro di medicina e biologia della riproduzione, European Hospital di Roma.
Quindici coppie su cento sono infertili e nella metà dei casi dipende dall’uomo. Mentre però la donna ha fin da piccola l’abitudine dei controlli periodi dal ginecologo, nell’uomo l’unico momento di screening era un tempo il servizio militare. Oggi si assiste così da una parte a una sottovalutazione delle condizioni di salute e dall’altra a un aumento di fattori e abitudini di vita che minano la salute riproduttiva del maschio e di riflesso della coppia. Non a caso gli ultimi dati ISTAT parlano di appena 485.780 bambini nati nel 2015 (quasi 17 mila in meno rispetto al 2014) con una media di 1.35 figli scesi dall’1.46 del 2010. A 18 anni già il 25-30% degli uomini presenta patologie che potranno condizionare la possibilità di avere figli da adulto. Le cause più conosciute della diminuzione della capacità riproduttiva maschile sono la riduzione del numero (sotto a 15milioni) e della motilità (meno del 40%) degli spermatozoi, secondo le ultime indicazioni dell’OMS. «Tra i motivi di più recente scoperta c’è l’alterazione della morfologia della testa degli spermatozoi, che rende molto difficile la fecondazione naturale, poiché non riescono a penetrare all’interno degli ovociti», spiega il prof. Ermanno Greco, direttore del Centro di medicina e biologia della riproduzione, European Hospital di Roma, e presidente del Convegno sulla Procreazione Medicalmente Assistita (PMA), che si tiene a Roma il prossimo 16 dicembre. «La soluzione in questo caso consiste nel micro iniettare lo spermatozoo direttamente dentro l’ovulo femminile, tramite metodica ICSI. Un’altra causa di infertilità è la mancata integrità del DNA contenuto nella testa degli spermatozoi. Si è visto infatti che in moltissimi casi di infertilità maschile o di insuccesso di programmi di PMA, in cui embrioni di ottima qualità non erano stati in grado di impiantarsi all’interno dell’utero, gli spermatozoi presentavano una frammentazione, ossia una vera e propria spaccatura della doppia elica del DNA». Questa alterazione del DNA è dovuta ad un aumento dei radicali liberi presenti nel liquido seminale, legata a diverse patologie come il varicocele, ovvero la dilatazione delle vene del testicolo, con reflusso di sangue e aumento della temperatura, nociva per una normale formazione degli spermatozoi. E poi il criptorchidismo, che rappresenta la mancata discesa alla nascita di uno o di entrambi i testicoli nel sacco scrotale. Da non sottovalutare anche le infiammazione della prostata, che fanno aumentare la concentrazione di globuli bianchi all’interno del liquido, e anche gli errati stili di vita come il fumo e l’alcol e le droghe, spesso prese insieme, l’obesità e il consumo di anabolizzanti, che si diffonde sempre di più anche tra i minorenni. «Un altro fattore non trascurabile è l’età paterna –prosegue il prof. Greco- oggi sempre più importante, in quanto la coppia decide il proprio programma riproduttivo in età avanzata. Questo ulteriore fattore risulta estremamente importante, poiché l’ovocita presenta una vera e propria capacità riparativa nei confronti del danno degli spermatozoi, che però diminuisce con l’aumentare dell’età materna. Quest’ultima infatti comporta un aumento significativo delle anomalie cromosomiche che sia naturalmente sia in vitro danno luogo ad embrioni che generalmente o non s’impiantano o abortiscono». La scienza però è arrivata in soccorso anche di queste coppie e se ne parlerà al Convegno di Roma in maniera approfondita, dove sono in programma anche sessioni di incontro con esperti del mondo delle istituzioni, dei media, del diritto e specialisti delle diverse branche (dall’oncologia alla nutrizione). Infatti con la cosiddetta diagnosi genetica preimpianto è oggi possibile distinguere gli embrioni sani da quelli malati e quindi trasferire nell’utero materno solo quelli sani con percentuali di impianto che si aggirano intorno al 60/70%, anche trasferendo un singolo embrione. «L’azoospermia, ossia l’assenza totale di spermatozoi –conclude il prof. Greco- rappresenta sicuramente la forma più grave di alterazione riproduttiva maschile ma oggi una buona parte di questi pazienti può ancora avere un figlio proprio. Si è infatti potuto constatare che circa il 70% di essi hanno ancora spermatozoi vitali nei testicoli, che si possono estrarre con procedura microchirurgica (TESE, MICROTESE) ed iniettare in vitro direttamente all’interno degli ovociti. Particolare attenzione deve essere riposta a tale tipologia di pazienti, poiché alcuni di loro possono essere affetti da patologie genetiche, che potrebbero compromettere la salute del nascituro, se non si procedesse ad un programma di diagnosi genetica sull’embrione». La terapia con sostanze antiossidante è oggi quella maggiormente impiegata per migliorare le caratteristiche quantitative e qualitative degli spermatozoi e quindi per migliorare sia la fecondazione naturale che quella in vitro. Va effettuata per almeno 60/70 giorni e ha lo scopo di ridurre la concentrazioni di radicali liberi nel liquido seminale.