Una triplice terapia contro la Bpco

Si respira male, si ha quasi sempre la tosse e spesso si va incontro a febbre, perché nei bronchi pieni di muco i batteri si sviluppano a grande velocità. Dando luogo a infezioni ripetute. Potrebbe essere questo l’identikit della Broncopneumopatia cronica ostruttiva (Bpco), sigla che individua due malattie molto diffuse: bronchite cronica ed enfisema polmonare.
Di solito colpisce le persone anziane, ultrasessantacinquenni, e con una lunga storia di malattia. Nella maggior parte dei casi non soffrono solo di BPCO: contemporaneamente si trovano ad affrontare altre patologie croniche, soprattutto cardiologiche. Per questo finiscono spesso in ospedale. Ma anche una volta dimessi la loro situazione non cambia di molto: lo spazio vitale in cui si muovono è il più delle volte circoscritto alla cucina di casa. Pazienti che, tra l’altro, per diverse ragioni, non ultima la bassa condizione sociale, si trovano ad essere poco aderenti alle cure, entrando in un circolo vizioso che finisce per avere gravi ripercussioni sulla salute e più in generale sulla qualità di vita.
Per questi malati, che uno studio stima possano essere il 41% dei 2 milioni e 600 mila persone con una diagnosi di BPCO in Italia, oggi c’è un’opportunità terapeutica in più: un nuovo broncodilatatore, umeclidinio, in tripla associazione con la formulazione precostituita contenente fluticasone furoato e vilanterolo. La novità assoluta è che si tratta della prima “triplice” terapia studiata e sperimentata appositamente per le condizioni più severe di BPCO ed è indicata per quei pazienti frequenti riacutizzatori, per i quali la combinazione di corticosteroidi e β2-agonisti a lunga durata d’azione, i cosiddetti ICS-LABA, non è più sufficiente ad evitare la mancanza di fiato.
Tra le novità scientifiche della proposta terapeutica e in vista di una maggiore aderenza va ricordato la somministrazione giornaliera della triplice terapia con una semplice assunzione al giorno attraverso 2 erogatori uguali che, attraverso tre semplici mosse – apri, inala e chiudi – consentono ai pazienti una facile assunzione del farmaco, pratica fondamentale per l’efficacia della cura. In uno studio clinico di confronto condotto su 1020 pazienti, il 98% è stato in grado di usare correttamente il farmaco sin dal primo utilizzo e il 99% ancora a 6 settimane dall’inizio della terapia.

Nel video:

  • Marco Candela
    Direttore Dipartimento di Medicina Ospedale di Fabriano
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