Colesterolo LDL, più basso è meglio è

Non basta abbassare l’LDL bisogna addirittura abbatterlo. Soprattutto dopo un infarto. Ormai non ci sono più dubbi: il livello di LDL dopo una sindrome coronarica acuta deve scendere sotto la soglia di sicurezza di 70mg/dL, e di molto. Perché più basso è, meglio è.

Proprio questa strategia, grazie all’utilizzo di Ezetimibe in associazione a Simvastatina, nello studio IMPROVE-IT ha ridotto del 13% gli infarti miocardici acuti, del 21% gli ictus cerebrali e del 6,4% gli eventi cardiovascolari in genere. E’ un beneficio di gran lunga più ampio di quello che si può ottenere con qualsiasi altra strategia e senza avere quegli effetti indesiderati che si avrebbero con l’utilizzo di statine ad alti dosaggi. E senza indossare il paraocchi economico: nel nostro Paese dopo una sindrome coronarica acuta l’85% del costo complessivo è da attribuire alle nuove ospedalizzazioni e solo l’11% alla spesa farmaceutica e il 4% all’assistenza specialistica. La popolazione dimessa dopo una sindrome coronarica acuta non deve rappresentare un gruppo su cui esercitare strategie di risparmio sul costo dei farmaci: per il rischio clinico elevato, per l’elevato numero di nuovi ricoveri e l’insoddisfacente aderenza/intolleranza alla terapia che, come circolo vizioso, determina nuovi ricoveri.

Lo studio IMPROVE IT (IMProved Reduction of Outcomes: Vytorin Efficacy International Trial), con 18.144 pazienti coinvolti e una durata di quasi 9 anni e 1.500 centri in tutto il mondo, rappresenta il più lungo studio di outcome CV condotto su pazienti con sindrome coronarica acuta.

Avendo raggiunto l’endpoint primario e tutti gli endpoint secondari compositi d’efficacia, lo studio IMPROVE IT è il primo a confermare la teoria “lower is better”(quanto più si riducono i valori di colesterolo LDL, tanto migliore sarà la prognosi in termini di nuovi episodi cardiovascolari ), anche partendo da livelli di colesterolo LDL relativamente bassi, per arrivare a valori ben al di sotto (<55 mg/dL) degli obiettivi terapeutici attuali. I risultati di questo studio sono stati presentati per la prima volta nel Novembre del 2014 durante il Congresso dell’American Heart Association. I pazienti in terapia con ezetimibe/simvastatina – l’ipocolesterolemizzante che associa simvastatina e la molecola ezetimibe – hanno avuto un numero significativamente inferiore di eventi cardiovascolari maggiori (misurati dall’endpoint composito di mortalità per cause cardiovascolari, infarto del miocardio non fatale, ictus non fatale, nuovo ricovero per angina instabile e rivascolarizzazione coronarica verificatisi a distanza di almeno 30 giorni dall’evento iniziale) rispetto ai pazienti trattati con la sola simvastatina. Sulla base del range di valori di colesterolo LDL nei due bracci in trattamento dello studio (a 1 anno, valore medio di colesterolo LDL rispettivamente di 53 mg/dL con ezetimibe/simvastatina e 70 mg/dL con la sola simvastatina), la riduzione del 6,4 per cento del rischio relativo osservata nel braccio ezetimibe/simvastatina è stata omogenea con l’effetto terapeutico previsto sulla base di precedenti studi sulle statine.

Nel video:

  • Michele Gulizia
    Presidente Associazione Nazionale Medici Cardiologi Ospedalieri
  • Claudio Rapezzi
    Cardiologo Policlinico di S. Orsola Bologna
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