Ernia dopo la gravidanza, come intervenire

È il motivo per cui più spesso si finisce in sala operatoria: l’ernia addominale è la causa più comune di intervento chirurgico e ogni anno nel mondo vengono operati circa 7 milioni di pazienti, di cui 200.000 nel nostro Paese e in maggioranza per ernie inguinali.

Ogni anno circa 75.000 italiani sviluppano un’ernia di questo tipo e sono circa 2 milioni gli adulti che teoricamente prima o poi ne soffrono, con una netta prevalenza di uomini: nel sesso maschile infatti il problema è circa otto volte più frequente rispetto alle donne. Per risolvere le ernie l’unica strada è la chirurgia e oggi finalmente arrivano le prime Linee Guida internazionali condivise dai massimi esperti del settore, realizzate in occasione della 1° Conferenza Mondiale sulla Chirurgia dell’Ernia Addominale, a Milano dal 25 al 29 aprile, puntano sulla massima personalizzazione delle terapie possibile grazie alle nuove tecnologie, per una “chirurgia su misura” in grado di diminuire al minimo le complicanze, ridotte a meno dell’1 % dei casi, garantendo allo stesso tempo la massima efficacia. Per il prossimo futuro si punta alla chirurgia robotica per intervenire in casi selezionati, e sono in partenza anche esperienze di condivisione di referti ed esami tra medici su profili riservati di Facebook: i dubbi clinici potranno essere risolti con il confronto in tempo reale con colleghi esperti, per una chirurgia che diventa “social”.

“Le ernie inguinali e addominali – spiega Giampiero Campanelli, Direttore dell’Unità Operativa di Chirurgia Generale e Day Surgery dell’Istituto Clinico Sant’Ambrogio di Milano e presidente della Conferenza Mondiale – sono provocate dalla fuoriuscita di una parte di un viscere dalla cavità addominale che di norma lo contiene, per i motivi più vari: oltre alla predisposizione familiare, sono fattori di rischio ad esempio gli sforzi prolungati e persistenti o gli interventi di chirurgia addominale. Accanto al gonfiore più o meno evidente dall’esterno, le ernie possono provocare dolore e fastidio; l’unico mezzo per risolverle è la chirurgia, che richiude la fessura attraverso cui fuoriesce il viscere applicando protesi che di fatto sono ‘reti’ capaci di contenere l’ernia e impedire che esca.

“Oggi – continua il prof. Campanelli – abbiamo a disposizione innumerevoli tecniche per eliminare un’ernia velocemente e con successo: in circa il 70% dei pazienti si tratta per fortuna di ernie semplici che possiamo operare con interventi mininvasivi, rapidi, spesso in anestesia locale. Le nuove Linee Guida che abbiamo realizzato sono pensate proprio per la maggioranza dei chirurghi addominali che si trovano a gestire ernie comuni: anche in queste situazioni ‘semplici’ è bene però applicare i principi della chirurgia su misura, per ottenere i risultati migliori”.

Quali sono questi principi è presto detto. “Possiamo scegliere la tipologia di anestesia, l’accesso chirurgico in laparoscopia o aperto, il tipo di riparazione da mettere in atto. Ed è proprio in questo settore – precisa il prof. Campanelli – che le grandi novità tecnologiche degli ultimi anni ci stanno aiutando a risolvere al meglio tutti i casi, anche i più complessi. Abbiamo infatti protesi biologiche intelligenti che, ad esempio, sono in grado di ‘trasformarsi’ nel tessuto con cui vengono in contatto: si tratta di lamine ottenute da tessuti animali che dopo l’impianto sono pian piano sostituite e ‘colonizzate’ dalle cellule del paziente, così da sparire completamente dopo aver esercitato il loro effetto di contenimento per tutto il tempo necessario. Oggi vengono impiegate in casi complessi, ad esempio se ci sono infezioni o potenziali infezioni, ma sono utili anche nella popolazione generale ad esempio in donne con piccole ernie ombelicali dopo la maternità e pliche cutanee addominali ampie, oppure nei bambini”.

Esistono poi reti in materiali sintetici non assorbibili o parzialmente assorbibili, che garantiscono ottimi risultati e un rischio molto basso di recidiva dell’ernia, e protesi dinamiche che assecondano la muscolatura della parete addominale per un risultato estremamente naturale. “Questa grande varietà di protesi – osserva Campanelli – consente al chirurgo di scegliere la più adatta al paziente, tenendo conto della sua età, del suo stile di vita e della sua corporatura. Le nostre Linee Guida puntano a interventi meno invasivi possibile, privilegiando sempre l’intervento più dolce e mininvasivo, valutato su misura per ogni singolo caso”.

Anche nel settore delle suture, infine, sono stati compiuti progressi straordinari. “Oggi esistono fili da sutura che si adattano al tipo di protesi usata, completamente o parzialmente assorbibili – spiega il prof. Campanelli – cioè capaci di dissolversi per intero o in parte nella parete addominale dopo avere assicurato la tenuta della protesi. Ed è perfino possibile operare senza suture grazie a particolari colle biologiche, che possono sostituire l’uso dell’ago e del filo tradizionali. L’obiettivo è un recupero rapido, che consenta ai pazienti di tornare alle consuete attività entro pochissimo tempo: fin da subito si può camminare in totale sicurezza o riprendere un’attività lavorativa sedentaria, nel giro di una settimana i fastidi legati alla tensione nella zona operata, gestibili con semplici antinfiammatori, scompaiono del tutto; già dopo 15 giorni è possibile riprendere un’attività sportiva. L’essenziale è arrivare all’intervento chirurgico prima che compaiano complicanze, che rendono tutto più difficile. Anche per questo è opportuno non perdere tempo pensando di contenere il problema con busti o cinti erniari, ma rivolgersi a un bravo chirurgo che potrà scegliere l’approccio più adatto per risolvere l’ernia nel modo migliore”.

Nel video:

  • Giampiero Campanelli
    Direttore Chirurgia Clinica Sant’Ambrogio di Milano
Total
0
Condivisioni
Articolo Precedente

La reumatologia al centro di Magenta Osteoarea

Articolo Successivo

Attivo il Numero Unico Europeo d’Emergenza 112

Articoli correlati