Le innovative tecniche chirurgiche per sostituire le valvole del cuore

Oltre mezzo milione di Italiani soffre di malattie delle valvole cardiache: in particolare stenosi aortica, cioè il “restringimento” della valvola cardiaca.
A fianco della cardiochirurgia, da oltre un decennio sono disponibili le tecniche di intervento per via transcatetere per la valvola aortica, indicate nei pazienti non operabili o ad alto rischio operatorio, e per la procedura ‘valve in valve’.

La stenosi, dal greco antico “stenosis” ossia “restringimento”, è una delle più frequenti condizioni che coinvolge le valvole cardiache, in particolare la valvola aortica: impedisce, durante le contrazioni del muscolo cardiaco, il normale flusso del sangue tra il ventricolo sinistro del cuore e l’aorta. Un’altra situazione particolarmente frequente, soprattutto nelle persone anziane, è la “insufficienza” della valvola mitralica, che determina rigurgito di sangue dall’atrio al ventricolo sinistro.
“La stenosi aortica è una patologia cronica evolutiva, che porta progressivamente e rapidamente allo sviluppo di sincope, angina, e insufficienza cardiaca: dalla comparsa dei sintomi funzionali, la prognosi è mediamente di 2-3 anni. Si stima che in Italia ne soffra quasi il 4% della popolazione oltre i 75 anni, tre su quattro dei quali, vale a dire oltre 150 mila persone, della forma più grave e sintomatica”, ricorda Sergio Berti, Presidente GISE – Società italiana di cardiologia invasiva. “Ancora più frequenti sono i disturbi a carico della valvola mitralica: studi epidemiologici dimostrano che l’insufficienza mitralica di grado moderato o severo è presente in quasi il 10% della popolazione con almeno 75 anni, cioè circa mezzo milione di italiani, anch’essa associata a scompenso cardiaco e aritmie” prosegue Berti.

Le persone con forme gravi di queste malattie delle valvole cardiache hanno una sopravvivenza ridotta – se non si interviene – oltre a una scarsa qualità di vita: sono soggetti a facile affaticamento, hanno mobilità ridotta e per loro fare anche pochi passi può rappresentare un ostacolo difficile da superare, spesso hanno importanti malattie concomitanti. “Sino a una quindicina di anni fa, l’unica possibilità di cura era l’intervento di cardiochirurgia per sostituire o riparare – quando possibile – la valvola danneggiata, con apertura del torace mediante sternotomia, arresto dell’attività cardiaca e circolazione extracorporea. L’effetto sul miglioramento della sopravvivenza e sulla qualità di vita è ampiamente positivo”, spiega Francesco Musumeci, Direttore Cardiochirurgia Azienda Ospedaliera San Camillo Forlanini di Roma.
Tuttavia, si tratta di un intervento operatorio importante, che non tutti i pazienti, data l’età, la presenza di altre malattie, la condizione di fragilità, sono in grado di affrontare. “Si deve a un cardiologo francese, Alain Cribier, l’idea di intervenire per una strada diversa”, racconta Corrado Tamburino, Professore ordinario di cardiologia all’Università di Catania.
“Cribier pensò di trattare la patologia valvolare accedendo attraverso l’arteria femorale, anziché aprendo il torace; prima mise a punto la valvuloplastica aortica – ossia una tecnica che permetteva, gonfiando un palloncino all’interno della valvola, di dilatarne i lembi calcificati favorendo il flusso del sangue -, successivamente, nel 2002, andando a inserirvi una valvola sostitutiva. Nasceva così la TAVI, l’impianto della valvola aortica per via transcatetere”, dice ancora Tamburino.

Oggi, a distanza di 12 anni dal primo impianto, sono circa 100 mila le persone portatrici di una valvola aortica transcatetere, operate in più di 600 centri in tutto il mondo. “Grazie agli studi clinici condotti in Europa e negli USA, la TAVI è diventata una procedura inserita all’interno delle linee guida internazionali redatte dalle organizzazioni scientifiche dei cardiochirurghi e dei cardiologi: è la terapia di scelta in tutte le persone inoperabili e, sulla base del giudizio del team composito cardiochirurgo-cardiologo – il cosiddetto ‘heart team’ – può essere impiegata, in sostituzione dell’intervento chirurgico, nelle persone definite ad elevato rischio operatorio”, aggiunge Musumeci.

Ma la ricerca scientifica non si ferma. Due settimane fa, nel corso della maggiore manifestazione internazionale dedicata alla cardiologia interventistica – il congresso EuroPCR 2014 di Parigi – sono stati presentati i primi risultati ottenuti su 150 pazienti, in Europa e Canada, con l’innovativa valvola Sapien 3 di Edwards Lifesciences, cioè la terza generazione di valvole aortiche dedicate alla TAVI. “Sono risultati particolarmente importanti – sottolinea Tamburino – per diverse ragioni. Innanzitutto perché dimostrano tassi di mortalità inferiori a quanto si ottenga di solito con questo tipo di intervento: 2,1% a 30 giorni, rispetto a una media del 3-4%; inoltre perché l’impiego di questa valvola è associato a un ridottissimo tasso di ictus, solo l’1%; quindi, poiché per la nuova conformazione della valvola è virtualmente azzerato il fenomeno del ‘leak’ paravalvolare, ossia il passaggio di sangue ai lati anziché all’interno della protesi valvolare, il che crea turbolenze nel normale flusso. Non da ultimo, perché per la prima volta sono stati operati con la TAVI, e sono stati valutati, anche pazienti a rischio intermedio, ossia persone per le quali, ad oggi, non esiste una specifica indicazione per questa procedura. Lo studio è ancora in corso, in quanto prevede un follow-up ancora per quattro anni, ma insieme ad altri già in atto potrebbe essere utile per determinare un allargamento delle indicazioni per la procedura transcatetere.”
“In Italia, secondo i dati del GISE, sono state effettuate 1.855 TAVI nel 2011, 2.018 nel 2012 e 2.230 nel 2013. Un numero di interventi inferiore a quelli che si renderebbero necessari. La ragione principale è che questa procedura, nel nostro Paese, non gode di un pieno riconoscimento da parte del servizio sanitario: non esiste un DRG nazionale e l’accesso alla TAVI, e il suo rimborso, sono regolati dalle decisioni assunte dalle singole Regioni, con situazioni a macchia di leopardo, che sono anche causa di notevole mobilità interregionale, ossia persone che per sottoporsi a questo intervento migrano da una Regione all’altra”, spiega Berti.
Ma le tecniche di intervento per via transcatetere si stanno evolvendo: non solo nelle protesi e negli strumenti per introdurle per via transfemorale o transapicale – attraverso la punta del cuore – o ancora transaortica, queste ultime due vie associate a un intervento di cardiochirurgia minimamente invasiva. “Oggi è possibile applicare le tecniche transcatetere per inserire una protesi valvolare all’interno di un’altra già posizionata, che si sia deteriorata nel tempo, senza ricorrere, ad esempio, a un secondo intervento cardiochirurgico. È la cosiddetta procedura ‘valve in valve’, con cui è possibile intervenire tanto sulla valvola aortica quanto su quella mitrale”, spiega Musumeci.
Il futuro prossimo: l’intervento di sostituzione della valvola mitrale per via transcatetere, già battezzato TMVR. Nel corso degli ultimi 12 mesi sono stati effettuati i primissimi interventi che applicano, sostanzialmente, la stessa procedura della TAVI per via transapicale alla sostituzione della valvola mitrale nativa. A detta di Vinayak Bapat, il cardiochirurgo inglese del St. Thomas’ Hospital di Londra, che sta perfezionando la tecnica e le protesi valvolari dedicate, i primissimi risultati sono incoraggianti: “la valvola mitralica e il paziente con malattia della valvola mitralica sono complicati. Il viaggio che abbiamo intrapreso sarà lungo e difficile, ma sono convinto che questa strada debba esser percorsa e che porterà a risultati positivi per la cura di queste persone”.

Nel video intervistati:

  • Sergio Berti
    Presidente GISE, Società italiana di cardiologia invasiva
  • Corrado Tamburino
    Professore di cardiologia, Università di Catania
  • Francesco Musumeci
    Direttore Cardiochirurgia, Ospedale San Camillo Forlanini di Roma
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