Si chiama “inerzia clinica” o “inerzia terapeutica” ed è il ritardo con cui ogni paziente con diabete Mellito ha accesso alla cura migliore per il proprio specifico caso. Riguarda non solo il momento della diagnosi e della prima terapia, ma anche l’individuazione della cura più appropriata quando il trattamento in atto risulti non più efficace. Una “rincorsa”, insomma, che fa perdere tempo prezioso. E mentre la terapia “non funziona”, la malattia progredisce in silenzio, sviluppando le complicanze e i costi che ne conseguono. L’Associazione Medici Diabetologi (AMD),con il grant incondizionato di Novo Nordisk, ha avviato un’indagine conoscitiva volta a indagare le diverse cause dell’inerzia clinica e a disegnare specifici interventi risolutivi. Il progetto, che si articola in tre fasi, intende soprattutto mettere a fuoco l’impatto che la recente emergenza Coronavirus, con la riduzione delle attività ambulatoriali e il diradarsi dei contatti fra pazienti e medici, ha avuto sul problema aggravandolo.
“L’inerzia è un concetto che, in senso lato, possiamo estendere anche al punto di vista politico-istituzionale, assimilandolo al costo dell’inazione”, afferma l’Onorevole Roberto Pella, Presidente dell’Intergruppo Parlamentare Obesità & Diabete. “I dati e le considerazioni emerse dai lavori di oggi e dallo studio condotto da AMD consentiranno di porre all’attenzione dei decisori pubblici, a tutti i livelli, le conseguenze dell’inerzia sulla qualità di vita delle persone con diabete e dei loro famigliari. Come presidente dell’intergruppo parlamentare ‘Obesità e Diabete‘ continuerò a impegnarmi, insieme ai Colleghi, per promuovere un’azione quanto più efficace di informazione e interlocuzione con il Ministero e gli organismi istituzionali che si occupano di salute nel nostro Paese.”
“L’inerzia clinica nel diabete di tipo 2 rappresenta un fenomeno complesso e multifattoriale: vi contribuiscono i medici, l’intero sistema sanitario e infine anche i pazienti”, commenta Paolo Di Bartolo, Presidente AMD. “Questi ultimi possono essere poco propensi a cambiare la cura o a intensificarla perché spaventati dai possibili effetti collaterali dei farmaci, come ipoglicemie e aumento di peso. I clinici riscontrano difficoltà nell’applicare nel mondo reale le più recenti linee guida. I team diabetologici spesso risentono della carenza di personale, tempi e spazi adeguati alla gestione delle visite. E ancora, vi sono barriere di sistema che comprendono modelli di governance, di assistenza e le restrizioni sul budget dedicato al diabete a livello nazionale e regionale. Questi sono solo alcuni esempi di cause dell’inerzia. A complicare il quadro la recente emergenza sanitaria dovuta alla pandemia da Covid-19, che ha accentuato i ritardi nell’intensificazione terapeutica, determinando un peggioramento del controllo del diabete e dei fattori di rischio cardiovascolare, soprattutto negli anziani che hanno più difficoltà nell’accedere ai sistemi di teleassistenza”.
“Indicazioni per comprendere le dimensioni dell’inerzia clinica, ci vengono dagli Annali AMD, database che coinvolge circa 300 centri di diabetologia su tutto il territorio nazionale e una popolazione di circa mezzo milione di persone con diabete di tipo 2”, spiega Antonio Nicolucci, Direttore di CORESEARCH. “Se guardiamo, ad esempio, ai pazienti che in aggiunta alla metformina ricevono un secondo farmaco, ci accorgiamo che ciò avviene, nel 30% dei casi, quando i valori di emoglobina glicata erano superiori all’8% da oltre 1 anno, quindi con ritardo. E a distanza di 1 o 2 anni dall’aggiunta del farmaco, il 25% dei pazienti continua ad avere una glicata superiore all’8%. Quindi, non solo ci sono ritardi nell’iniziare una nuova terapia, ma anche nell’intensificarla se necessario. L’inerzia è ancora maggiore quando si tratta di avviare la terapia con insulina e di titolarla correttamente: un terzo dei pazienti che la inizia aveva valori di emoglobina glicata superiori all’8% già da 3 anni e il 40% continua ad averli 1 o 2 anni dopo l’inizio della terapia. Ci aspettiamo, purtroppo, un peggioramento di questi dati con l’emergenza da Coronavirus. Se consideriamo che nel 2019 mediamente in un mese venivano effettuate più di 216.000 visite diabetologiche e che, proprio a causa della pandemia, sono state ridotte del 90%, negli ultimi tre mesi si stima ne siano saltate più di 580.000, di cui 20.000 prime visite, che sono cruciali perché da come viene avviata la terapia nella prima fase della malattia dipenderà moltissimo il suo andamento futuro e il rischio di sviluppare complicanze. Il timore è che questi 20.000 nuovi casi restino in uno stato di cattivo controllo metabolico ancora a lungo”.
“Proprio per approfondire questa problematica, il progetto a cui abbiamo dato vita si articola in tre fasi”, illustra Domenico Mannino, Presidente di Fondazione AMD. “La prima prevede una fotografia dell’inerzia clinica nel 2019, prima dell’insorgenza della pandemia Covid-19, a partire dai dati degli Annali AMD. Nella seconda fase verrà attivata una survey che indagherà le principali ragioni dell’inerzia dal punto di vista dell’operatore sanitario e del paziente e che conterrà anche domande volte a rilevare l’impatto dell’emergenza Coronavirus sulla gestione del diabete. Parallelamente verrà attivato un osservatorio sulle politiche regionali riguardo all’assistenza diabetologica durante e dopo la pandemia. Infine, nel mese di dicembre 2020 si procederà a una nuova analisi dei dati degli Annali AMD, per verificare quanto l’emergenza sanitaria abbia influenzato i volumi di attività delle diabetologie italiane e misurare nuovamente l’inerzia terapeutica. Il nostro auspicio è che i risultati delle tre fasi del progetto ci consentano di produrre documenti utili ad animare il dibattito con le Istituzioni nazionali e regionali, con i diabetologi e con le Associazioni pazienti, e di implementare soluzioni operative atte a garantire alle persone con diabete cure appropriate e in grado di ridurre il peso clinico, umano, sociale ed economico della malattia”.