Pubblicati sull’autorevole rivista scientifica Brain i risultati di una ricerca che ha permesso di identificare i fattori che possono influenzare il decorso più o meno rapido della Sclerosi Laterale Amiotrofica (SLA), frutto di una collaborazione tra l’IRCCS Istituto di Ricerche Farmacologiche ‘Mario Negri’ di Milano e l’ Università di Sheffield in Inghilterra.
Questo è stato possibile, grazie allo studio condotto nel Laboratorio di Neurobiologia Molecolare dell’Istituto ‘Mario Negri diretto da Caterina Bendotti, osservando due modelli di topi portatori dello stesso gene mutato responsabile della SLA, sviluppavano la malattia con una progressione molto diversa tra loro.
In particolare, Giovanni Nardo ha analizzato i motoneuroni, cioè le cellule nervose che comandano i muscoli per il movimento e la respirazione, dei due modelli di topi con SLA a diversi stadi della malattia, avvalendosi della collaborazione di Pamela Shaw, Direttrice del “Sheffield Institute for Translational Neuroscience (SITraN)” all’università di Sheffield, che coordina un gruppo leader nell’analisi dell’espressione di geni in cellule isolate dal tessuto nervoso.
“Lo studio ha messo in evidenza – spiega Giovanni Nardo, dell’IRCCS Istituto di Ricerche Farmacologiche ‘Mario Negri’ -, che all’esordio dei sintomi, cioè prima ancora che ci sia debolezza muscolare, tra i due modelli di topo con rapida e lenta progressione si osservano differenze importanti nei motoneuroni. In particolare si sono osservate differenze nel modo in cui queste cellule reagiscono attivando più o meno intensamente dei meccanismi di danno, come ad esempio la disfunzione dei mitocondri e del trasporto assonale (fondamentale per la sopravvivenza delle cellule grazie al trasporto intracellulare di proteine e organelli) e l’alterata degradazione proteica a scapito di quelli protettivi, come l’attivazione di una risposta di difesa immunitaria. Aver identificato alcuni di questi meccanismi ci aiuta a poter indirizzare in modo più efficace gli interventi farmacologici per rallentare, in fase molto precoce, questa devastante malattia. Da questo studio è possibile anche identificare dei biomarcatori prognostici, cioè delle molecole in grado di prevedere la progressione della malattia e di monitorare l’efficacia di trattamenti sperimentali”. “La numerosità di informazioni dettagliate ottenute da questo studio – aggiunge Caterina Bendotti – favorisce lo sviluppo di nuove ipotesi sui meccanismi patogenici della malattia. Questo sarà argomento di indagini future che aprirà nuove collaborazioni nell’ambito della comunità scientifica che si occupa di SLA per raggiungere più velocemente possibile l’obiettivo della cura”.
La SLA è una malattia che colpisce i motoneuroni, cioè le cellule nervose che comandano i muscoli per il movimento e la respirazione fino a portare alla paralisi totale e alla morte. In Italia sono circa 5 mila le persone colpite da questa malattia. La SLA è una malattia piuttosto eterogenea dal punto di vista clinico con una elevata variabilità nella sua progressione e durata che può andare dai 2 ad oltre i 10 anni dopo la diagnosi. Questo fenomeno, dovuto alla complessità dei meccanismi che causano la morte dei motoneuroni, rende difficile l’applicazione di potenziali terapie.
Lo studio è stato finanziato per la maggior parte dall’MND Association inglese, con un contributo della Comunità Europea e della Regione Lombardia
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