Quanto incide la dieta adottata della mamma durante la gravidanza sul rischio per il neonato di sviluppare obesità e sindrome metabolica nei primi anni di vita? Che ruolo giocano i grassi in questo processo? Uno studio coordinato dall’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù e condotto in collaborazione con l’Azienda Ospedaliera San Camillo Forlanini di Roma darà risposta a questi quesiti.
In Italia l’idea di studiare come i grassi della dieta materna possano influire sull’espressione del nostro patrimonio genetico (epigenetica neonatale) è unica nel suo genere: nell’ambito del progetto di ricerca, finanziato dal Ministero della Salute, saranno dapprima studiate 1.000 donne in gravidanza per l’intera durata della gestazione (presso il San Camillo), mentre i nascituri verranno monitorati al Bambino Gesù nei 12 mesi successivi.
Tutte le indagini riguardanti le mamme saranno effettuate sul materiale biologico che alla nascita del bambino viene cestinato (cordone ombelicale non criopreservato, materiale placentare, etc.); quelle successive sui piccoli, sempre non invasive, riguarderanno la valutazione della crescita e alcuni indicatori di rischio cardiovascolare, come la rigidità delle arterie.
Secondo gli ultimi dati ufficiali, nel nostro Paese il 25% dei bambini è in sovrappeso, con un picco che si registra nella fascia d’età 9-11 anni, mentre il 13% è addirittura obeso.
Tra i fini dello studio quello di valutare le modificazioni epigenetiche del DNA indotte dalla dieta materna che possono, quindi, in parte spiegare la trasmissione dell’obesità da una generazione all’altra e l’aumento dell’incidenza di obesità e complicanze cardiovascolari in età pediatrica (tra cui il diabete mellito e il fegato grasso).
I ricercatori partono dall’ipotesi che un bambino nato da una madre che si è mal alimentata (mangiando molti grassi saturi) durante la gravidanza, possa nascere maggiormente resistente all’azione dell’insulina. La patologica risposta all’azione di questo ormone causa obesità.
“I geni ci predispongono a sviluppare insulino-resistenza, obesità e complicanze cardiovascolari che rientrano nella sindrome metabolica – spiega Melania Manco, endocrinologa nutrizionista dell’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù e coordinatrice del progetto -. L’ambiente, e cioè la dieta, nonché l’esercizio fisico possono modulare tale rischio influendo sull’espressione dei geni stessi, soprattutto in periodi particolari come la vita intra-uterina. Ipotizziamo, quindi, che i grassi assunti con la dieta dalla mamma in gravidanza possano influire sul feto inducendo delle modificazioni permanenti dell’espressione dei suoi geni. Queste modificazioni potrebbero pertanto predisporre il feto a diventare obeso”.
“Continua, con questo progetto, l’impegno dell’Ospedale San Camillo nella ricerca in ambito materno-infantile: oggi molti studi confermano come le future mamme possono prevenire con una dieta equilibrata disfunzioni del nascituro – sottolinea Aldo Morrone, Direttore Generale dell’Azienda Ospedaliera San Camillo Forlanini -. Le moltissime donne che si rivolgono alla nostra struttura per essere seguite durante la gravidanza, potranno partecipare a questo progetto che le coinvolgerà per l’intera durata della gestazione, avendo anche consigli sul corretto modo di alimentarsi. Si tratta di un progetto ambizioso, soprattutto per quanto riguarda la mole di dati che saranno esaminati e valutati, ma in cui siamo certi di poter dare il nostro contributo”.
Il Responsabile scientifico per la parte ostetrica del San Camillo, Fabrizio Signore, aggiunge: “Nei prossimi 18 mesi, verrà portato a termine, presso il Reparto di Ginecologia, il reclutamento di oltre 1.000 pazienti gravide, alle quali verranno effettuati controlli aggiuntivi, finalizzati alla ricerca sui neonati. Il progetto, unico in Europa, è realizzabile presso il San Camillo per l’alto flusso di pazienti che giornalmente si affidano alla nostra struttura”.
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