Il cardiologo affianca l’oncologo nella gestione del paziente con tumore. Con il continuo aumento dell’età media cresce il numero di pazienti anziani e con disturbi cardiocircolatori. E’ dunque importante che l’oncologo possa scegliere trattamenti antitumorali che non peggiorino la salute del cuore. Sono questi gli temi principali discussi a Firenze nell’International Symposium on Cardio-Oncology, organizzato dall’Università di Firenze e promosso dalla Fondazione Internazionale Menarini, che si è tenuto dal 24 al 26 gennaio. Fra le sfide più recenti della gestione dei pazienti oncologici c’è quella della prevenzione e cura degli effetti collaterali cardiovascolari dei chemioterapici. Questo problema sarà di crescente importanza nei prossimi anni sia per l’allungarsi della vita che aumenta il rischio di malattie cronico degenerative e fa sì che un crescente numero di persone avrà patologie sia di natura cardiologica che oncologica sia perché molti trattamenti antineoplastici possono danneggiare il sistema cardiovascolare.
«Se un tempo la tossicità cardiovascolare influiva poco sulla speranza di vita in diversi tipi di paziente oncologico e in particolare in presenza di malattia metastatica, con il guadagno in sopravvivenza della terapia antineoplastica, adiuvante o preventiva, gli eventi cardiovascolari possono aumentare di frequenza e diventare una causa di morbilità e di mortalità durante e dopo il trattamento oncologico» spiega Gian Franco Gensini Presidente del Simposio e Preside della Facoltà di Medicina e Chirurgia all’Università degli Studi di Firenze.
La cardio-oncologia è nata pensando alla tossicità che alcune terapie oncologiche possono avere per il cuore, ma oggi il discorso sta diventano più articolato. «Sicuramente l’aumentata sopravvivenza dei malati con tumore ha posto nuovi problemi» conferma Domenico Prisco, Professore Ordinario di Medicina Interna Dipartimento di Area Critica Medico-chirurgica, Università degli Studi di Firenze. «Da un lato una tossicità che non è più acuta ma è tardiva, quindi assistiamo alla comparsa di scompensi cardiaci, che si possono realizzare anche dopo anni su pazienti che inizialmente presentavano un cuore assolutamente sano. D’altra parte, con l’avanzare dell’età media, sempre più spesso si devono affrontare casi di pazienti che hanno già una storia di cardiopatia e che per la comparsa di un tumore devono essere sottoposti a un trattamento che può essere cardiotossico. E non va dimenticato che alcuni trattamenti oncologici possono avere ripercussioni non soltanto sul cuore, ma su tutto l’apparato circolatorio: la trombosi è la seconda causa di morte del paziente con tumore, e quindi la prevenzione e la cura della trombosi è molto importante in questi soggetti. Va dunque creato un percorso cardio-oncologico che comprenda visite, esami strumentali, misurazione di parametri ematici, per valutare la tossicità della terapia oncologica in corso nonché per prevenire e seguire nel tempo quello che succede al cuore del paziente».
Per far fronte a queste nuove esigenze è nato in Italia il nuovo settore interdisciplinare della Cardio-Oncologia e si stanno sviluppando percorsi e linee guida per l’identificazione di pazienti ad alto rischio cardiovascolare, per esempio mediante biomarcatori o tecniche strumentali. «La nascita di un percorso mirato Cardio-Oncologico, nell’ambito di un più generale percorso internistico-oncologico, è necessario in un polo oncologico di eccellenza, perché il paziente cardiopatico presenta problemi che richiedono di essere affrontati in maniera molto accorta» prosegue Gensini. «Per esempio, la presenza di una neoplasia può rendere difficile o impossibile l’impiego di alcuni farmaci, come gli inibitori dei fattori dell’emostasi, che invece sono la regola in alcune patologie di tipo cardiaco, in particolare coronarico o vascolare periferico.
E in un polo oncologico di eccellenza bisogna considerare che si va verso una cronicizzazione delle malattie, per cui in quello che si definisce il “cronic care model” la concomitanza di problemi cardiologici e tumorali obbliga a un lavoro di squadra, perché la gestione appropriata del paziente complesso nasce dalla condivisione del progetto complessivo di cura da parte di diversi clinici, per garantire al paziente la più lunga sopravvivenza possibile associata alla migliore qualità della vita».