Com’è cambiato il bisogno di psicologia negli ultimi quattro anni? Stando ai dati della ricerca condotta nel luglio scorso per ENPAP, l’Ente Nazionale di Previdenza ed Assistenza per gli Psicologi, da GPF Inspiring Research la richiesta di aiuto psicologico è aumentata di 10 punti rispetto al 2020, passando dal 29% al 39% di fruitori di terapie psicologiche. Complici anche gli effetti della pandemia, tant’è che il 39,2% del campione riferisce di avere intrapreso un percorso psicologico proprio durante la fase pandemica, sia online che in presenza. I dati rivelano anche che è diminuito lo stigma nei confronti della figura dello psicologo, e che le persone vedono gli psicologi e le psicologhe come figure centrali per analizzare, capire e affrontare sfide personali e momenti di criticità.
Tra chi al sondaggio ha risposto “mai in vita mia da uno psicologo” è emerso che il 66% dice di non averne mai avuto veramente bisogno, il 20% vorrebbe andarci ma non può farlo per ragioni economiche. Su quest’ultimo dato bisogna riflettere: i servizi di psicologia sono ancora poco presenti all’interno del Servizio Sanitario Nazionale e in più c’è una limitata conoscenza di strutture pubbliche che offrono servizi gratuiti o con ticket accessibili. E sono soprattutto i giovani a confermare le difficoltà di accesso al servizio sanitario pubblico. Questo mette in luce, ancora una volta, il bisogno di occuparsi di prevenzione e di mantenimento della salute psicologica dei cittadini nel contesto pubblico, rendendolo accessibile a più persone. Come è stato fatto nella seconda edizione del Progetto “Vivere Meglio”, destinata ai cittadini delle zone alluvionate di Emilia-Romagna, Marche e Toscana. – «Per creare davvero benessere sociale, e dunque benessere psicologico per tutta la comunità, è bene che tutti gli attori che si occupano del sistema bio-psico-sociale siano presenti», premette Antonio Pio D’Ingianna, coordinatore nazionale della FIMMG per il progetto Vivere Meglio. «La seconda edizione di ‘Vivere Meglio’ ha visto la collaborazione tra medici di medicina generale e psicologi, che hanno condiviso ognuno per la loro parte la cura alla persona, e ha rimesso al centro ciò che doveva essere già chiaro da tempo: la figura dello psicologo di comunità è necessaria. Lo è non solo per occuparsi dei disturbi emotivi comuni, come ansia e depressione, ma anche per chi soffre di malattie croniche, lo è nelle scuole, lo è per la gestione del burnout da lavoro. Anche noi medici avremmo bisogno dello psicologo e ciò che vorremmo, e che stiamo portando avanti con le Istituzioni, è che sia presente la figura dello psicologo di comunità, un libero professionista convenzionato con il SSN, in équipe, magari, con i MMG e presente nelle sedi dove la Medicina Generale si aggrega e offre maggiori servizi ai cittadini, come gli AFT, l’UCCP, le Medicine di gruppo, le Case della Comunità, i centri Spoke, accessibili alle tante persone che ne hanno bisogno e che non se lo possono permettere: in questo momento ci sono 6 milioni di italiani che non si curano, né il corpo e né la psiche. Bisogna che le Istituzioni se ne occupino, quanto prima, in modo strutturato. Gli interventi spot non bastano, serve un intervento continuativo e duraturo», afferma D’Ingianna.
«Il Servizio Sanitario Nazionale rappresenta il pilastro della coesione sociale del nostro Paese», aggiunge Nino Cartabellotta, presidente della Fondazione GIMBE, «ma le crescenti disuguaglianze regionali e il definanziamento rischiano di compromettere il diritto costituzionale alla tutela della salute. Occorre sviluppare politiche di welfare integrate che valorizzino le professioni sanitarie, come quella degli psicologi, garantendo un accesso equo ai servizi. In quest’ottica, il welfare non deve essere percepito come un costo, ma come un investimento fondamentale per la sostenibilità del SSN e per la crescita sociale ed economica del Paese».