Il sistema immunitario attacca strutture che fanno parte del suo stesso organismo, riconoscendole per errore come estranee al pari di virus e batteri. È l’origine del lupus eritematoso sistemico, una malattia al centro del Congresso europeo di reumatologia, che si è svolto recentemente a Milano.
«Il lupus eritematoso sistemico è una malattia reumatica autoimmune, ciò vuol dire che il sistema immunitario agisce anche contro organi e apparati dello stesso organismo. Può quindi attaccare qualsiasi organo e apparato, e quelli più frequentemente colpiti sono le articolazioni, la cute e i reni» spiega Luca Iaccarino, Professore associato di Reumatologia all’Università di Padova. «Il paziente con il lupus rischia di vedere compromessa la funzionalità di alcuni organi, oltre che la qualità della vita. In alcuni casi più gravi è messa a rischio anche la sopravvivenza stessa del paziente».
Per bloccare gli effetti del lupus è disponibile il primo farmaco biologico sviluppato e approvato specificamente in oltre 50 anni. Si chiama belimumab, è prodotto in Italia, nello stabilimento GSK di Parma, e la sua efficacia è stata confermata da uno studio nazionale coordinato dall’Università di Padova.
«La terapia si è rivelata vantaggiosa in termini di percentuale di pazienti che raggiungono una risposta. In alcuni soggetti la terapia con belimumab ha garantito la riduzione dell’accumulo di danno, cioè la compromissione della funzionalità degli organi, delle articolazioni, del rene» aggiunge Iaccarino. «Traggono beneficio dalla terapia con farmaci biologici anche gli aspetti dermatologici, come le cicatrici cutanee. Questo farmaco ha sicuramente aiutato a migliorare la qualità della vita di questi pazienti».
Entro due anni dalla diagnosi di Lupus, quattro pazienti su dieci sono destinati a sviluppare una patologia renale chiamata nefrite lupica. Lo studio BLYSS–LN ha dimostrato l’efficacia di belimumab anche nella nefrite lupica, e in seguito all’approvazione europea ora i pazienti italiani possono usufruire del farmaco.
«I dati dello studio BLISS-LN evidenziano che belimumab, aggiunto alla terapia standard nella gestione della nefrite lupica attiva, porta a un miglioramento degli esiti a lungo termine per i pazienti, aumentando i tassi di risposta alle terapie e ritardando l’ulteriore progressione della malattia renale» conferma Francesca Romana Spinelli, Professore Associato di Reumatologia alla Sapienza Università di Roma.
Nel video:
Luca Iaccarino, Professore associato di Reumatologia all’Università di Padova