Leucemia linfatica cronica, terapie più efficaci anche per i più giovani

La leucemia linfatica cronica è la forma di leucemia più frequente tra gli adulti nei paesi occidentali e rappresenta il 30 per cento di tutte le leucemie. In Italia le stime parlano di circa 1.600 nuovi casi ogni anno tra gli uomini e 1.150 tra le donne. Si tratta di una malattia prevalentemente tipica nellanziano, tuttavia, il 15 per cento dei casi viene diagnosticato prima dei 60 anni.

Finora i pazienti di età inferiore ai 65 anni potevano essere curati solo con trattamenti chemioimmunoterapici. «Oggi anche per questi pazienti è disponibile Ibrutinib, un farmaco specifico che agisce bloccando l’enzima che permette alle cellule tumorali di crescere e moltiplicarsi. Ibrutinib, sia in monoterapia sia in associazione con altre molecole, ha dimostrato un notevole beneficio in termini di efficacia, e ha portato a un significativo cambio di paradigma nel trattamento dei pazienti di nuova diagnosi affetti da leucemia linfatica cronica, sostituendo i trattamenti finora considerati standard nel paziente giovane, ovvero i regimi di chemioterapia» conferma Paolo Ghia, Professore di Oncologia Medica, Università Vita-Salute San Raffaele di Milano. «Il significativo vantaggio in termini non solo di sopravvivenza libera da malattia ma anche di sopravvivenza globale, permette di offrire una nuova opzione di terapia anche nei pazienti più giovani e con un buon performance status».

Inoltre Ibrutinib può essere assunto con la somministrazione giornaliera di una singola compressa. Ciò rappresenta un traguardo nel trattamento di questi tumori, il cui risultato ultimo è migliorare laderenza terapeutica al farmaco, nonché la qualità della vita per pazienti affetti da questa malattia. «Negli ultimi anni lavanzamento straordinario della ricerca scientifica e le cure sempre più efficaci hanno aumentato non solo la durata ma anche la qualità di vita dei pazienti.

La nuova formulazione orale in compresse può contribuire a migliorare laderenza alla terapia e quindi, a replicare anche nella pratica clinica i risultati ottenuti negli studi clinici» aggiunge Ghia.

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