Le persone che in Italia convivono con malattie infiammatorie croniche intestinali sono oltre 250.000, delle quali un 60% circa con Colite Ulcerosa e il restante 40% con Malattia di Crohn. Queste malattie, in forte aumento nei Paesi a economia avanzata, comportano una gestione quotidiana di sintomi dolorosi o invalidanti, compromettono la qualità di vita dei pazienti, sono un fattore di rischio per lo sviluppo di comorbidità, come malattie cardiovascolari e tumori, e pesano sulla vita delle famiglie, con ricadute importanti sul versante socio-economico.
«Per il tipo di impatto che queste patologie hanno sulla vita delle persone che ne sono colpite, per i loro sintomi peculiari, le malattie infiammatorie croniche intestinali sono vere e proprie “malattie famigliari”: tutti i componenti della famiglia risentono in qualche modo del disagio causato da una malattia infiammatoria cronica intestinale» sottolinea Salvo Leone, Direttore Generale AMICI Onlus e Presidente EFCCA – European Federation of Crohn’s & Ulcerative Colitis Associations. «L’impatto riguarda anche l’ambiente di lavoro: spesso il paziente deve assentarsi per visite e controlli senza che l’azienda e i colleghi siano consapevoli della sua condizione».
Le malattie croniche intestinali sono spesso associate ad ansia e depressione, e una spiegazione viene dallo stretto rapporto tra cervello e intestino. Tra i fattori che determinano l’infiammazione, negli ultimi anni è cresciuta l’attenzione per il ruolo svolto dal microbiota, l’insieme di microrganismi che vivono in simbiosi con noi, nell’intestino ma anche in tutte le superfici esposte all’ambiente esterno. Una variazione del microbiota intestinale può determinare un’infiammazione che dall’intestino tende a propagarsi anche ad altri organi. Un recente studio realizzato da Humanitas e pubblicato sulla rivista Science dimostra che nei casi di Colite Ulcerosa, per impedire il propagarsi di una forte infiammazione intestinale, il cervello chiude una sorta di cancello posto nel plesso coroideo, con conseguenti stati di simil-ansia e depressione, effetti spesso riscontrati nei pazienti affetti da malattie infiammatorie croniche intestinali. E’ un aspetto della malattia sottolineato anche durante l’incontro “Il popolo delle malattie infiammatorie croniche: fattori biologici, aspetti clinici, ricadute sociali”, promosso da Galápagos Biopharma Italy insieme all’IRCCS Istituto Clinico Humanitas, centro di eccellenza per la ricerca e il trattamento delle malattie infiammatorie.
In più, l’impatto di queste malattie va oltre il distretto intestinale: «In oltre il 40% dei casi dei casi le malattie infiammatorie croniche intestinali sono accompagnate da manifestazioni extraintestinali immunomediate associate. Fino al 30% dei pazienti può avere artrite, il 10% manifestazioni cutanee immunomediate, il 5-6% infiammazioni alle vie biliari e al fegato» avverte Alessandro Armuzzi, Responsabile Unità Operativa IBD Malattie Infiammatorie Croniche Intestinali di Humanitas, co-direttore dell’IBD Center di Humanitas e docente di Humanitas University. «Per questo non si può prescindere da un approccio multidisciplinare che comporta esiti migliori nell’individuazione di eventuali manifestazioni extraintestinali associate, ma anche nella loro gestione. L’obiettivo della terapia resta la remissione prolungata nel tempo, che significa assenza di sintomi, sia quelli direttamente riferiti dal paziente che in termini di anatomia della malattia, ovvero il ripristino della normale integrità della mucosa intestinale, senza diarrea e senza sanguinamento».