Che i cittadini americani, soprattutto del Nord America, mangino male, è ormai quasi un cliché. Uno stereotipo che, però, riflette una desolante realtà.
Per questo, e da tempo, i nutrizionisti americani cercano di migliorare le aspettative di vita del cittadino medio puntando il dito contro il junk food dilagante, e stimolando un’attitudine dietetica più morigerata e salutista. Ogni cinque anni, una Commissione di esperti in nutrizione stila le linee guida alimentari che contengono indicazioni generali su cosa mangiare in base all’età e allo stile di vita, per mantenere uno stato di salute e benessere.
Tra gli scopi principali degli esperti, c’è quello di puntare ad un “dimagrimento” generale della popolazione, per eliminare l’eccesso ponderale dai fattori di rischio delle principali malattie croniche o acute mortali (infarti, ictus, diabete, cancro, ipertensione). Un arduo compito, considerando che sette americani adulti su dieci sono in forte sovrappeso, che prevede anche una serie di semafori gialli, ovvero cibi, bevande e condimenti da limitare, tra cui le bevande alcoliche, le carni rosse e carni lavorate o processate, il sale, gli zuccheri (specialmente raffinati), i grassi saturi.
Secondo le nuove linee guida, inoltre, per fare il pieno di energia ma non di grasso gli americani dovrebbero portare a tavola più frutta e verdura “colorate”, più grassi vegetali (in particolare oli da condimento e grassi della frutta secca a guscio), più cereali integrali, più fonti proteiche “sane”, come carni bianche non grasse, uova fresche, frutta secca, legumi e pesce, più latte e prodotti lattiero caseari.
L’invito delle DGA ad un maggior consumo di latte e derivati (preferibilmente a ridotto contenuto di grassi) dipende dal fatto che, esattamente come accade in Italia, il 90% della popolazione statunitense non ne consuma a sufficienza. Ma, fortunatamente, le somiglianze finiscono qui. La differenza nelle abitudini di consumo, infatti, è abissale: basti pensare che tra le fonti alimentari che negli Stati Uniti contribuiscono almeno per il 10% all’assunzione di latticini tra gli adulti figurano in prima linea hamburger e sandwich.
Più in generale, le indicazioni, soprattutto per quanto riguarda il consumo di alcool e zuccheri, risultano un po’ troppo “blande”. Ma d’altra parte imporre modifiche drastiche ad uno stile alimentare sbilanciato anche per colpa di una scarsa conoscenza degli alimenti e del loro utilizzo, non solo sarebbe impossibile, ma anche controproducente.
E in Italia cosa dicono le linee guida? Sono più rigide, o siamo noi italiani meno a rischio di ammalarci a causa della cattiva alimentazione?
Dire agli italiani cosa, e quanto mangiare, è compito non meno difficile. Siamo un popolo di buongustai, con tradizioni enogastronomiche rinomate a cui, però, si sono sovrapposte abitudini e stili alimentari meno sani, provenienti proprio dagli USA. Ad esempio, la diffusione dei fast food, del cibo precotto e delle bevande dolcificate non è certo una moda positiva.
Detto questo, anche il “nostro” carico di malattia da cattiva alimentazione, ovvero il rischio di ammalarci di patologie che riducono le aspettative e la qualità di vita, è simile a quello americano. Anche gli italiani talvolta eccedono, sebbene il problema del sovrappeso non sia allarmante come accade negli USA, e non hanno tanta voglia di modificare questo stato di cose.
Pertanto anche le linee guida italiane (a cura del CREA-Centro di Ricerca Alimenti e Nutrizione) del 2019, ci esortano a:
- mangiare più vegetali e frutta ogni giorno
- consumare più latticini con un apporto di grassi moderato (3 porzioni al giorno di latte e/o yogurt e formaggi 3 volte la settimana). E per i formaggi le nostre linee guida sono più specifiche di quelle USA, perché l’entità della porzione consigliata varia in base al contenuto di grassi, inferiore o superiore al 25%.
- non consumare o per lo meno limitare il consumo di alcool (max una unità al giorno per le donne e gli over 65, e due per gli uomini, esclusivamente a pasto)
- limitare sale e zuccheri
- aumentare i cerali integrali e i legumi.
Le linee guida italiane sono un po’ più rigide, ma soprattutto più “lungimiranti”. Infatti ciò che differenzia maggiormente le nostre linee guida da quelle americane, è l’inspiegabile assenza, in queste ultime, di riferimenti sulla sostenibilità delle scelte alimentari proposte. Una mancanza “grave” in un documento di estrema importanza come le DGA.
Anche in questo l’Italia ha fatto scuola, perché è stato il primo paese a includere nelle proprie linee guida indicazioni e raccomandazioni che promuovo un stile alimentare sano, sostenibile, ecologico e rispettoso del territorio e della stagionalità.
Fonte: Assolatte