Paura e apprensione per la propria salute, l’ansia di dover modificare ritmi e abitudini di vita quotidiana, un’opprimente sensazione di isolamento dal mondo esterno e dai propri affetti, e un senso di disorientamento per la cancellazione improvvisa di visite e controlli programmati. Sono questi i principali stati d’animo che la pandemia ha scatenato nei pazienti con Broncopneumopatia cronica ostruttiva (BPCO), a partire dal lockdown e con conseguenze ben visibili ancora oggi, emersi dalle 180 narrazioni, provenienti da tutta Italia, raccolte nell’ambito del progetto di medicina narrativa “Narrarsi ai tempi del Covid-19”, realizzato da Fondazione ISTUD in collaborazione con Chiesi Italia, la filiale italiana del gruppo Chiesi.
La Ricerca, avviata nel mese di settembre e tuttora in corso, si avvale della partecipazione di professionisti afferenti alle società scientifiche impegnate nel campo della pneumologia (AIPO – Associazione Italiana Pneumologi Ospedalieri, SIP – Società Italiana Pneumologia) e della medicina generale (SIMG – Società Italiana Medici Generici, FIMMG – Federazione Italiana Medici di Medicina Generale). L’iniziativa è, inoltre, sostenuta dalle Associazioni dei pazienti affetti da malattie respiratorie croniche (Associazione Italiana Pazienti BPCO, FederAsma e Allergie ODV).
I risultati preliminari del Progetto, nato con l’obiettivo di comprendere i vissuti delle persone affette da BPCO e dei loro familiari durante i mesi più duri della pandemia, l’impatto sulla quotidianità e sul percorso di cura, e le ripercussioni sull’attività dei professionisti sanitari (pneumologi e medici di medicina generale), ci consegnano il ritratto di pazienti emotivamente fragili dinanzi al Covid, per le possibili gravi ripercussioni dell’infezione sulla capacità respiratoria, già provata dalla malattia cronica di base.
C’è però un dato positivo oltre il disagio e la paura: la vulnerabilità e l’isolamento hanno attivato una resilienza che ha permesso di attraversare l’emergenza con determinazione. I diari dei pazienti rivelano una capacità di stare a casa in modo intelligente, proteggendosi dal rischio di contagio, e di saper chiedere aiuto. Dal punto di vista assistenziale, invece, il distanziamento sociale ha accelerato l’utilizzo delle tecnologie digitali per abbattere le distanze, favorendo l’attivazione di servizi di supporto psicologico da remoto e un maggior ricorso alla telemedicina per visite e monitoraggio.
Dai racconti di medici e pazienti è emerso come durante i mesi più critici della pandemia, i servizi di telemedicina abbiano facilitato i consulti e la continuità di cura per i malati di BPCO, fortemente penalizzati dalla riduzione dell’offerta di prestazioni sanitarie. Gli intervistati hanno sottolineato l’importante contributo della medicina digitale per mantenere le relazioni tra pazienti, familiari e professionisti sanitari, seppur riconoscendo alcuni limiti: dalla mancanza di accesso alle tecnologie, alla compromissione cognitiva/uditiva dei malati, in buona parte anziani.
Un altro filone analizzato dalla Ricerca è quello delle modifiche allo stile di vita messe in atto dai pazienti con BPCO e dai loro familiari durante il lockdown. I dati preliminari mostrano una leggera prevalenza di cambiamenti sfavorevoli delle abitudini quotidiane che riguardano un’errata alimentazione, la riduzione dell’attività fisica a causa della sedentarietà forzata per il non poter uscire di casa, e l’abitudine al fumo, fattori che possono contribuire ad aumentare il carico globale della malattia.
“Le testimonianze di pazienti e familiari raccolte in questi mesi rappresentano un’occasione straordinaria per accendere i riflettori sulle limitazioni che la BPCO impone sulla vita delle persone, e quindi sull’importanza di supportare adeguatamente malati e caregiver non soltanto nel percorso di cura, ma anche nella gestione di tutti quegli aspetti emotivi peggiorativi della malattia, acuiti dal particolare momento storico che stiamo vivendo – dichiara Laura Franzini, Direttore Medico di Chiesi Italia. In linea con i valori di azienda certificata B Corp, il nostro impegno nella ricerca scientifica parte dall’ascolto costante dei bisogni delle persone e dei medici che li hanno in cura, per offrire soluzioni terapeutiche efficaci e stimolare l’adozione di modalità di assistenza ai pazienti innovative, in grado di migliorare la gestione della malattia nella quotidianità”.
“Siamo veramente stupiti dal riscontro che il Progetto ha avuto tra i pazienti, i caregiver e i professionisti sanitari coinvolti nella gestione della BPCO, testimoniato dalla numerosità delle storie ricevute, circa il 10% in più di quelle attese, a significare la necessità di condividere – afferma Maria Giulia Marini, Direttore dell’Innovazione Area Sanità e Salute ISTUD. Un mostro insidioso che può impedire di respirare, quindi di vivere, è così che la maggior parte dei pazienti ha descritto il Covid-19. Un nemico invisibile in grado di generare apprensione e un’inedita sensazione di pericolo, che ha fatto rivalutare la paura per la BPCO e accettare con minori resistenze la condizione di isolamento forzato. Il rapporto con lo specialista, favorito dalle tecnologie digitali, ha fatto sentire al sicuro le persone con BPCO, rendendole più serene nella loro vita di tutti i giorni. E l’esperienza di scrittura condivisa ha fatto sentire le persone sollevate e più cariche di energia”.