Epatite C: pubblicati gli ultimi studi che confermano la validità delle terapie

La disponibilità dei nuovi farmaci antivirali ad azione diretta (DAA), che permettono di eradicare il virus dell’Epatite C in maniera definitiva, in tempi rapidi e senza effetti collaterali, ha reso possibile il raggiungimento dell’eliminazione di questa patologia entro il 2030 come prefissato dall’OMS. Tuttavia, la pandemia di Covid-19 ha rallentato notevolmente i trattamenti, inserendosi in un contesto già complicato dalla difficoltà di identificare i pazienti affetti dal virus, spesso non consapevoli, il cosiddetto “sommerso”. Questi temi sono al centro del progetto MOON di AbbVie: una serie di webinar in questi mesi autunnali per mettere a confronto infettivologi, epatologi ed internisti, affinché facciano rete per trovare efficaci strategie. Un’occasione per mettere a confronto specialisti di diverse branche e di diverse aree geografiche.

“Le nuove terapie per l’Epatite C hanno avuto un impatto rivoluzionario – spiega il Prof. Giovanni Di Perri, Professore Ordinario di Malattie Infettive all’Università di Torino – Si è passati da terapie che avevano un’aspettativa di efficacia al di sotto del 50% con numerose controindicazioni ed effetti collaterali, con tempi che oscillavano tra i 6 e i 12 mesi, a una situazione in cui possiamo gestire il soggetto trattato in 8-12 settimane, in cui possiamo togliere il virus definitivamente dall’organismo umano. Ciò permette non solo di far venir meno la malattia epatica, ma di apportare anche un beneficio più ampio. Questa è infatti una malattia multi-sistemica, con conseguenze su diversi organi, con impatto, ad esempio, sul sistema cardiovascolare e sull’omeostasi glicemica, stante il confermato rapporto di associazione fra infezione cronica da HCV e diabete. Intervenire in modo netto permette dunque di curare più di una malattia e di prevenirne altre, con beneficio sia sul singolo soggetto che sull’intera comunità. Eliminare un’infezione da una popolazione è un obiettivo ambizioso, ma abbiamo uno strumento terapeutico che lo rende raggiungibile. Ci sono già esempi virtuosi (Australia, Irlanda, Olanda) di come l’uso sistematico della terapia anti-HCV stia portando a un impoverimento del serbatoio delle nuove infezioni. Per quanto concerne la recente interruzione dovuta alla pandemia, dobbiamo sottolineare anche l’opportunità nata da questa crisi: la necessità di test per individuare il Sars-Cov-2 permette di andare anche a sondare la prevalenza di HCV in categorie di popolazione che per noi sarebbero state difficilmente raggiungibili: RSA, scuole, corpi militari, tutti contesti della nostra società che ci possono dare una visuale inedita”.

Da recenti studi internazionali emergono importanti conferme per i trattamenti con G/P. Il primo aspetto riguarda la durata di 8 settimane del trattamento dei pazienti con cirrosi compensata HCV-correlata attestata dallo studio registrativo Expedition-8. “Per poter confermare l’efficacia dello studio Expedition-8 è stato condotto uno studio retrospettivo su circa 200 pazienti con cirrosi compensata appartenenti a coorti diverse (europee, americane e globali) – afferma il Prof. Pietro Lampertico, Professore Ordinario di Gastroenterologia, Università di Milano – Per la prima volta al mondo, questo studio retrospettivo di pratica clinica, appena pubblicato, ha confermato i dati di eccellente sicurezza e tollerabilità di un regime terapeutico di sole 8 settimane nei pazienti mai trattati con cirrosi compensata HCV-correlata. La forza di questi dati è tale che le recenti linee guida europee consigliano 8 settimane di terapia con G/P nei pazienti naive con cirrosi compensata”.

Un secondo studio internazionale ha invece certificato l’efficacia di questo trattamento anche nei pazienti fragili. “Questa ricerca ha coinvolto circa duemila pazienti trattati con G/P, di cui un quota significativa rientrava nelle popolazioni cosiddette “fragili”: pazienti con patologie psichiatriche, soggetti con abuso di alcol o farmaci, soggetti disoccupati o con basso tasso di scolarità – spiega il Prof. Lampertico – Lo studio ha dimostrato un’eccellente risposta virologica completa non solo nel gruppo nel suo complesso, ma anche nei diversi sottogruppi di soggetti fragili. Abbiamo anche combinato queste situazioni di fragilità e l’efficacia è rimasta in oltre il 98% dei casi. La risposta virologica è risultata indipendente dal numero di farmaci presi”.

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