Dopo i 50 anni di età, nel mondo, una donna su 3 e un uomo su 5 corrono il rischio di una frattura ossea causata dall’osteoporosi. Trasposti sul quadrante dell’orologio, questi numeri si traducono così: in media ogni 3 secondi si verifica una frattura da fragilità ossea, e pertanto in buona parte evitabile. Allarmanti anche i dati in arrivo dall’Europa. Nel Vecchio Continente, infatti, il 30% delle donne in post-menopausa soffre di osteoporosi e almeno il 40% di queste andrà incontro a una o più fratture correlate alla malattia.
Percentuali alla mano, l’osteoporosi rappresenta una vera e propria pandemia – si stimano 200 milioni di casi nel mondo – ma spesso ignorata o comunque non adeguatamente considerata, dai pazienti come dai medici. Anche per questo la malattia viene definita “silenziosa”.
Come emerge da una ricerca qualitativa svolta da Chiesi Italia, infatti, chi soffre di osteoporosi spesso arriva con fatica alla diagnosi e ancor più faticosamente riesce ad ottenere le cure e le attenzioni in grado di prevenire le fratture e preservare il più possibile nel tempo la qualità della vita.
L’osteoporosi è una malattia cronica del sistema scheletrico che determina il deterioramento della microarchitettura del tessuto osseo. Progressivamente, nell’attività di rimodellamento osseo il processo di riassorbimento prevale su quello di formazione, causando quell’indebolimento che “apre la porta” alle fratture.
Tante fratture significano anche tanti costi. A causa dell’invecchiamento della popolazione, l’impatto delle fratture da fragilità sulla spesa sanitaria europea continuerà a crescere. L’International Osteoporosis Foundation prevede costi per 37 miliardi di euro a seguito dei 2,7 milioni di fratture da fragilità che avvengono solo in Francia, Germania, Italia, Spagna, Svezia e Regno Unito, con una spesa annua prevista in aumento, fino a più di 47 miliardi di euro entro il 2030.
Fedele alla filosofia che riconosce al paziente la massima centralità, Chiesi Italia ha indagato con approfondite interviste individuali i vissuti e le necessità di chi soffre di questa malattia. Sensazione di fragilità, vulnerabilità, limitazione nella vita di tutti i giorni e timore per quello che il futuro potrà riservare, soprattutto in termini di perdita dell’autonomia, sono i principali elementi riferiti dalle donne. Insieme a questi, viene evidenziata una tendenza alla depressione e una sintomatologia dolorosa spesso considerata dagli specialisti come “a parte” rispetto all’osteoporosi e pertanto in molti casi sottovalutata e affrontata in modo estemporaneo, senza indagare l’intensità e la persistenza del dolore. In base all’atteggiamento dimostrato di fronte alla malattia, i ricercatori hanno individuato due profili psicologici: le donne reattive e quelle attendiste. Dinamiche e amanti della vita, le Reattive non si lasciano sopraffare dalla sensazione di invecchiamento e riprogrammano le proprie attività in modo da vivere al meglio. Si sentono protagoniste della terapia e fanno tutto il possibile per rallentare la progressione della malattia, con attività fisica mirata e stile di vita corretto. Un diffuso timore e senso di colpa per non aver agito in tempo sono invece i tratti salienti delle Attendiste, che spesso hanno alle spalle una storia di sopportazione del dolore e sintomi trascurati. Il loro atteggiamento nei confronti della terapia è acritico e tendenzialmente poco diligente. La malattia viene vissuta come una condanna, all’insegna della rassegnazione.
In base a quanto emerge dalla ricerca, le pazienti riconoscono nell’ortopedico e nel reumatologo i punti di riferimento, nonostante la percezione di un loro scarso investimento sulla malattia e la comunicazione quasi sbrigativa che caratterizza le visite, da cui il percepito di un ascolto insufficiente e il bisogno di una maggiore empatia. La situazione cambia con gli specialisti che fanno parte dei Centri Osteoporosi, realtà territoriali peraltro generalmente poco conosciute, e con i fisiatri, a cui le pazienti riconoscono un approccio più attento e articolato, con più spiegazioni e più consigli.
Il bisogno di un maggior coinvolgimento è percepito anche dagli stessi specialisti. Come emerge, infatti, dalla ricerca quantitativa effettuata da Chiesi a integrazione di quella sulle pazienti, l’84% degli ortopedici intervistati ritiene che un maggior coinvolgimento della classe medica sul tema dell’osteoporosi sia assolutamente necessario. Per l’87%, tuttavia, la problematica dell’osteoporosi e delle sue conseguenze è ad oggi più sentita e le donne sono più informate.
‘La centralità del paziente è uno dei pilastri su cui si basa ogni nostra attività. Ci impegniamo non solo nel mettere a loro disposizione soluzioni farmaceutiche adeguate ed efficaci, ma anche i servizi di cui necessitano per il miglioramento della qualità della loro vita’, spiega Laura Franzini, Direttore Medico di Chiesi Italia. ‘Per essere al fianco dei pazienti è necessario comprendere i loro bisogni insoddisfatti. Da qui è nata l’indagine che ci ha permesso di raccogliere il punto di vista dei pazienti, le difficoltà, i timori e le preoccupazioni nella gestione della malattia. Queste informazioni si integreranno agli strumenti formativi rivolti alla classe medica con l’obiettivo di migliorare ulteriormente la gestione delle persone affette da osteoporosi’.