In Italia ci sono troppi ospedali che operano pazienti con un tumore del pancreas avendo una scarsa esperienza nell’esecuzione di uno degli interventi chirurgici più complessi. La scelta di cimentarsi comunque con questo tipo di procedura ha però un riflesso diretto sulla salute di chi finisce sotto i ferri. La sopravvivenza alla malattia, già di per sé bassa (8 per cento dopo cinque anni), crolla infatti tra coloro che vengono operati in strutture che (in molti casi) effettuano meno di dieci interventi all’anno di asportazione di un tumore del pancreas. La fotografia scattata dai massimi esperti italiani nel trattamento di questa malattia è cruda. E documenta, numeri alla mano, la necessità di scelte politiche drastiche (e talora impopolari) per tutelare la salute dei pazienti. Ogni anno, nel nostro Paese, sono 13.500 le persone che scoprono di avere un tumore del pancreas.
TUMORE DEL PANCREAS: IN ITALIA TROPPI CENTRI CON POCA ESPERIENZA
Analizzando i dati sulla mortalità operatoria per gli interventi di resezione pancreatica eseguiti in Italia tra il 2014 e il 2016, gli specialisti dell’unità di chirurgia pancreatica dell’ospedale San Raffaele di Milano e del Policlinico Borgo Roma di Verona (rispettivamente il secondo e il primo centro italiano per numeri di interventi effettuati ogni anno) hanno avuto la conferma di quanto nella comunità scientifica si dice tempo. Nel trattamento del tumore del pancreas (ma il sillogismo è quasi sempre valido, nella chirurgia oncologica), più basso è il numero di procedure chirurgiche completate, minori sono le probabilità di sopravvivere alla malattia. La loro analisi – i cui risultati sono stati pubblicati sul British Journal of Surgery – evidenzia che la mortalità media sul territorio nazionale è del 6.2 per cento. Questo il dato complessivo, che risente però di ampie variazioni: dal 3 per cento registrato nei poli di eccellenza a oltre il 25 per cento rilevato in altri ospedali. Un risultato, quest’ultimo, che gli esperti definiscono «disastroso per i pazienti che si rivolgono a queste strutture». E che rimarca quanto sia importante la scelta del centro di cura, per chi è alle prese con una delle neoplasie ancora oggi gravata da una prognosi infausta nella maggior parte dei casi.
EVITABILI ALMENO 130 MORTI ALL’ANNO
Secondo l’elaborazione dei dati forniti dal Ministero della Salute, in 300 dei 395 ospedali italiani censiti (il 77 per cento) sono state realizzate in media soltanto tre operazioni al pancreas all’anno (nel periodo 2014-2016). Un numero quasi irrilevante, considerando che la resezione pancreatica è la più complessa procedura di chirurgia addominale. In questi centri, la mortalità operatoria registrata è stata superiore al dieci per cento: troppo elevata. Di fronte a una simile variabilità, secondo gli esperti, «ogni anno in Italia sono almeno 130 i decessi evitabili». Non tutto però si capisce leggendo i dati. Occorre anche una valutazione qualitativa del lavoro. L’indagine ha infatti svelato che non tutti i centri che eseguono un numero di interventi sufficiente a consolidare un’esperienza adeguata riescono a garantire una bassa mortalità. In alcuni ospedali, è quanto emerge dallo studio, questo rischio può essere comunque superiore al 20 o 25 per cento. «Soprattutto se manca una specifica formazione in chirurgia pancreatica o se l’ospedale non dispone dei servizi essenziali per gestire le frequenti complicanze post-operatorie».
VERSO LE PANCREAS UNIT?
Per queste ragioni, già portate alla luce su queste colonne nei mesi scorsi, gli esperti chiedono di concentrare gli interventi per la rimozione chirurgica del tumore del pancreas in pochi centri, a elevata esperienza. Diversi i modelli di centralizzazione proposti nel lavoro. Il migliore prevede che questa procedura sia effettuabile soltanto in ospedali che effettuano più di dieci resezioni all’anno, con una mortalità operatoria inferiore al cinque per cento. Dando seguito a queste indicazioni, le strutture accreditate passerebbero da 395 (ma oltre il 70 per cento di queste tratta 1 2 pazienti all’anno) a 45. Una simile razionalizzazione, in prospettiva, determinerebbe un calo sensibile della mortalità media nazionale (dal 6.2 al 2.7 per cento). «In questo ambito, le scelte di politica sanitaria possono salvare più vite di ogni innovazione tecnica», afferma Giampaolo Balzano, chirurgo del pancreas center del San Raffaele e primo firmatario dello studio. Secondo gli esperti, il modello verso cui tendere è quello delle pancreas unit: presidi analoghi alle breast unit per la cura del tumore al seno. Ovvero strutture multidisciplinari – che prevedano la presenza di chirurghi, patologi, oncologi, gastroenterologi, radiologi, radioterapisti, nutrizionisti e psicologi – a cui affidare la gestione di questi pazienti. Già presente nei centri italiani di eccellenza, quasi tutti concentrati al Centro-Nord, questo modello (al momento riconosciuto in maniera formale soltanto in Lombardia) è di là da venire nel Mezzogiorno del Paese. Con una conseguenza inevitabile: quasi il 40 per cento dei pazienti trattati in Veneto e in Lombardia proviene dalle regioni del Sud.
CHIRURGIA DA EVITARE SE NON SALVAVITA
I pazienti con un tumore del pancreas che finiscono sotto i ferri, subito o dopo un ciclo di chemioterapia, sono quelli che hanno maggiori probabilità di vincere la malattia. In questi casi la sopravvivenza a cinque anni dalla diagnosi può passare dall’8 per cento (che riguarda tutti i malati di tumore del pancreas) al 20-30 per cento (per chi è stato operato con successo). La scelta della struttura, dunque, condiziona il decorso della malattia. Ma il tumore del pancreas – quarta causa di morte oncologica: dopo i tumori del polmone, del seno e del colon-retto – non è sempre operabile. Tutt’altro. La quota delle nuove diagnosi che richiede un intervento non supera il 20 per cento. Quello che può apparire come un limite è dovuto all’impossibilità di rimuovere il tumore dai vasi circostanti e alla frequente presenza di micrometastasi, che rende inutile l’operazione. In questi casi, l’operazione è inutile. E, non di rado, risulta dannosa. La razionalizzazione dei centri servirebbe anche a evitare gli interventi non necessari, che in prima battuta danno una risposta ai desiderata dei pazienti e dei loro familiari. Ma che, nel medio e lungo periodo, non determinano benefici.
LA «VOCE» DEI PAZIENTI
A pagare il prezzo più alto di questa situazione, sono i pazienti. «A fronte di alcune strutture di eccellenza, ce ne sono troppe prive della specializzazione in chirurgia pancreatica o che operano in assenza di team multidisciplinari in grado di farsi carico di tutte le esigenze di una persona con una malattia molto invalidante», dichiara Piero Rivizzigno, presidente dell’associazione Codice Viola. In un solo anno, i tassi di recidiva per il tumore del pancreas raggiungono il 40 per cento. Quali sono le cause all’origine di questo dato? «Le spiegazioni possibili sono due. Alcuni interventi vengono eseguiti in maniera imperfetta, altri non avrebbero dovuto essere effettuati: in quanto inutili e privi di benefici per i pazienti». Per far fronte a questa situazione, la risposta può giungere dalla diffusione delle pancreas unit. «A partire dall’autunno, lavoreremo per questo in tutta Italia – conclude Rivizzigno -. Sarà inevitabile però concentrarsi sulle Regioni meridionali. In ambito oncologico, il tumore del pancreas è una delle principali cause di migrazione sanitaria lungo la Penisola». Serve uno sforzo congiunto – col contributo di società scientifiche e associazioni di pazienti, prima che delle autorità sanitarie locali – per invertire la rotta.