Sebbene l’avvio della fase 2 abbia determinato la ripresa delle attività ambulatoriali ed ospedaliere non urgenti, con il progressivo allentamento delle misure di sicurezza, le oltre 260.000 persone con Malattia di Parkinson in Italia rappresentano, per età e condizioni di salute, una delle categorie di pazienti fragili da proteggere. Per continuare a proteggerle senza privarle dell’accesso ai servizi sanitari, una risposta concreta arriva dalla telemedicina e, in particolare, dalla teleassistenza infermieristica specializzata fornita da ParkinsonCare. Il servizio, ideato da Careapt – start up del gruppo Zambon – e reso gratuito fin dalle primissime fasi dell’emergenza grazie alla collaborazione con Confederazione Parkinson Italia Onlus, vede estesa la gratuità fino al 30 settembre.
Con quasi 4.500 interventi di supporto a persone con Malattia di Parkinson e ai loro familiari in soli 3 mesi, di cui 3.389 in teleassistenza infermieristica, 235 video-consulti con neurologi e altri professionisti del team multidisciplinare, 7 accessi al MMG e 2 soli accessi al Pronto Soccorso, i numeri di ParkinsonCare offrono un importante contributo al dibattito sul ruolo della telemedicina come fattore abilitante per introdurre nuovi modelli di cura della cronicità. A sottolineare la rilevanza di questi numeri, arrivano anche due pubblicazioni scientifiche sul Journal of Parkinsonisms and Related Disorders e sul British Journal of Neuroscience Nursing che descrivono sotto angolature diverse il carattere innovativo dell’esperienza italiana, mettendo in evidenza la necessità di adottare per le malattie croniche un modello di assistenza non più reattiva, ma quotidiana, proattiva e personalizzata.
“L’esperienza fatta in questi mesi ha suscitato l’attenzione della comunità scientifica internazionale. Si tratta, di fatto, del primo esempio di rete multidisciplinare nel Parkinson in Europa, – afferma Orientina Di Giovanni, General Manager di Careapt. La telemedicina, infatti, non ci ha solo permesso di visitare pazienti che non avevano accesso ad ambulatori ed ospedali. Ne abbiamo fatto un modo diverso di fare medicina della cronicità, affiancando ai pazienti un ‘personal care manager’ e orchestrando l’intervento di tutti gli attori sanitari del PDTA, tenendoli sempre aggiornati e partecipi. Si chiama ‘continuità terapeutica’, ‘integrated care’, ‘medicina collaborativa’. È il futuro della cronicità e solo la tecnologia può renderlo possibile e sostenibile. È urgente che questo sia riconosciuto e governato”.
Secondo recenti articoli pubblicati su The Lance e JAMA la telemedicina non rappresenta più soltanto una risposta all’emergenza sanitaria causata dal Covid-19, ma può diventare la forma elettiva di medicina, soprattutto nella presa in carico delle persone con malattie neurodegenerative, che possono essere costantemente monitorate da una rete di figure altamente specializzate all’interno del proprio ambiente domestico, in grado di restituire una prospettiva più realistica delle loro condizioni. Si tratta del cosiddetto modello “home-hub-and-spoke”, che mette
insieme tre componenti fondamentali: primo fra tutti l’ambiente domestico, che è di cruciale importanza, perché permette di prendere in carico il paziente nel suo contesto di vita quotidiano, adattando strategie terapeutiche e assistenziali agli obiettivi di salute e qualità della vita del singolo paziente; un hub di figure multidisciplinari specializzate, tempestivamente a disposizione del paziente e quindi in grado di abbattere i tempi di attesa; e infine un “personal care manager” che affianca i pazienti nella vita di ogni giorno, orchestrando l’intervento di tutti gli attori sanitari coinvolti nel percorso diagnostico terapeutico assistenziale.
Secondo il presidente della Confederazione Parkinson Italia Onlus, Giangi Milesi, il primo bilancio dell’alleanza con Careapt, Istituto Neurologico C. Besta e Villa Margherita – S. Stefano Riabilitazione ha solo segni positivi: “La terribile emergenza non ci ha cancellati: siamo rimasti attivi e vicini alle persone con Parkinson e ne abbiamo avuto cura; abbiamo dimostrato che si può infrangere il tabù dell’autoreferenzialità per lavorare in rete. Insieme a una spallata all’immobilismo, abbiamo dato un impulso eccezionale ai più moderni approcci alla cura come la teleassistenza, la telemedicina e il case-management; abbiamo gestito l’emergenza ricavandone esperienze apprezzate nel mondo e utili per la sanità del futuro. Ancora una volta grazie a Careapt e alla Zambon per aver condiviso con noi tutto questo”.
Per continuare a proteggere le persone più fragili anche nella Fase 2 della pandemia – oltre che per evitare che le lunghe liste di attesa accumulate durante i mesi di lockdown sottopongano ambulatori ed ospedali a nuova pressione – è fondamentale che i pazienti con patologie neurologiche croniche limitino le visite ambulatoriali ai soli casi strettamente necessari, preferendo l’erogazione dei servizi di assistenza specialistica da remoto, attraverso équipe multidisciplinari di esperti in grado di rispondere in tempo reale alle esigenze del paziente. Un nuovo modo di fare medicina della cronicità che fatica a decollare nel nostro Paese e che ancora non è stato equiparato, ai fini della rimborsabilità, alle prestazioni erogate in modo convenzionale, ma che ha ricevuto una grande spinta proprio dall’emergenza Coronavirus, alleggerendo di fatto il carico assistenziale del nostro SSN. Una partita tutta da giocare, che potrebbe avere inizio in quelle Regioni più virtuose che hanno già compreso quanto l’innovazione tecnologica sia importante per il futuro della sanità.
“La pandemia ha impresso un’importante accelerazione all’adozione di tecnologie innovative in sanità. Ma queste non vanno viste come un ripiego o un surrogato dei modelli tradizionali basati sulle visite ambulatoriali di persona. I numerosi teleconsulti effettuati durante i mesi del lockdown ci hanno permesso di capire che per i pazienti affetti da patologie croniche come il Parkinson – spesso anziani, con difficoltà di movimento e comorbilità – evitare, ogni volta che sia possibile, viaggi e spostamenti per andare a visita è un vantaggio. Mentre per noi medici, l’osservazione del paziente nel suo ambiente domestico rivela particolari clinici indispensabili per personalizzare le strategie terapeutiche ed assistenziali, oltre che per integrare tutti gli interventi necessari ad una presa in carico del paziente, – spiega il dott. Roberto Eleopra, Direttore UOC Malattia di Parkinson e Disturbi del movimento, Fondazione IRCCS Istituto Neurologico ‘Carlo Besta’. Nel follow-up cronico dei pazienti, la telemedicina viene ora considerata una opzione integrata nel percorso di cura, necessaria per selezionare chi realmente necessita di una rivalutazione ambulatoriale e con quali tempistiche.
Il modello di rete integrata e centrata sul paziente realizzato insieme a ParkinsonCare durante l’emergenza Covid-19 ha riscosso l’interesse della comunità scientifica internazionale e merita di essere corroborato anche attraverso formule sperimentali che ne permettano l’estensione a tutti i pazienti che potrebbero trarne un vantaggio clinico dimostrabile”.