I pazienti affetti da malattie respiratorie sono stati considerati categorie a rischio durante l’emergenza Covid-19 e anche ora che la pandemia sembra aver allentato la presa, continuano ad essere in apprensione, in molti casi per mancanza di informazioni adeguate. Con l’obiettivo di fare chiarezza, contro la disinformazione alimentata da fake news e notizie prive di evidenze scientifiche, e dipanare i dubbi più frequenti di chi soffre di patologie respiratorie croniche, è partita la campagna #UnEspertoPerte: tre appuntamenti in diretta Facebook con un team di professionisti pronti a rispondere alle domande dei pazienti, intervistati dal conduttore televisivo Marco Maisano.
La campagna educazionale è realizzata con l’egida scientifica di SIP (Società Italiana di Pneumologia) e SIAAIC (Società Italiana di Allergologia, Asma ed Immunologia Clinica), con il supporto di FederAsma e allergie ODV e dell’Associazione Italiana Pazienti BPCO Onlus, e con il contributo non condizionante di Chiesi Italia, la filiale italiana del Gruppo Chiesi, azienda impegnata nella ricerca scientifica, principalmente nell’area delle malattie respiratorie.
“Sono asmatico, sono più a rischio di contrarre il Covid-19?” – “Come faccio a distinguere tra i sintomi della mia allergia e quelli del Coronavirus?” – “Cosa devo fare con la mia terapia per l’asma?”. Sono solo alcuni dei quesiti posti dai pazienti asmatici – in Italia circa 450mila persone tra i 15 e i 24 anni – in occasione del primo appuntamento su “asma e Covid-19”.
“Sulla base delle evidenze scientifiche disponibili – spiega Carlo Lombardi, Responsabile Unità di Allergologia e Pneumologia, Ospedale Poliambulanza di Brescia – l’asma non aumenta il rischio di contrarre il Coronavirus, mentre è stato osservato che i recettori ACE2 del Covid-19 sono meno rappresentati lungo le vie respiratorie dei pazienti con asma allergico, nei quali l’ancoraggio del virus risulta più difficile. Se è vero che per gli asmatici può non essere semplice distinguere la difficoltà a respirare (dispnea) tipica dell’asma, da un attacco potenzialmente provocato dal virus, bisogna però considerare che la riduzione di gusto e olfatto non è presente nella maggior parte dei pazienti asmatici (infatti gli unici che possono avere riduzione dell’olfatto sono quelli che hanno come comorbidtà la poliposi nasale)e può quindi aiutare nella diagnosi di Covid-19. E ancora, non è scientificamente documentato che i trattamenti contro l’asma aumentino il rischio di incorrere in complicanze respiratorie, pertanto gli asmatici non devono per nessun motivo interrompere la terapia inalatoria, soprattutto con gli steroidi, per i quali si sono ipotizzati effetti protettivi”.
“Per chi soffre di asma e di altre patologie dell’apparato respiratorio, il principale bersaglio del Covid-19, è naturale sentirsi confusi e spaventati”, commenta Laura Mastrorillo, Presidente di FederAsma e Allergie ODV. Per questo motivo è fondamentale tenere alta l’attenzione sugli aspetti concreti legati alla gestione quotidiana della malattia, e offrire ai pazienti e alle loro famiglie un supporto costante, soprattutto sul piano della rassicurazione e della corretta informazione, supportata da solide evidenze scientifiche”.
Preoccupazioni più o meno giustificate riguardano anche i pazienti affetti da broncopneumopatia cronica ostruttiva (BPCO) – il 6% della popolazione, vale a dire oltre 3,5 milioni di italiani.
“Questi pazienti – afferma Manlio Milanese, Responsabile della Struttura Semplice Dipartimentale di Pneumologia ASL2 Savonese – se ospedalizzati per infezione da Covid-19, nel 50% dei casi potrebbero dover ricorrere alle cure intensive a causa della loro limitata riserva respiratoria in gioco (nel 19% dei decessi per Coronavirus era presente nella storia clinica una BPCO – dati ISS). Per questo motivo, è importante seguire alcune semplici ma fondamentali regole, utili a ridurre il rischio di contagio (da coronavirus, ma non solo) e ad ottimizzare le risorse: smettere di fumare; mantenere la terapia inalatoria in corso (solo il 14-16% dei pazienti assume la terapia almeno per l’80% dell’anno); proseguire con le norme di sicurezza e di distanziamento sociale, ricordando che comunque le esacerbazioni della BPCO sono spesso causate dai virus; riprendere al più presto una regolare attività motoria, interrotta con il lockdown, per migliorare la tolleranza allo sforzo e quindi la qualità di vita. Sia per l’asma che per la BPCO, sono infine consigliate le vaccinazioni antinfluenzale e anti-pneumococcica, che, oltre a proteggere dalle comuni infezioni respiratorie, possono aiutare i medici nella diagnosi differenziale con il Covid-19”.
“I pazienti con asma e BPCO non sono stati così frequenti – come ci saremmo aspettati – tra coloro che si sono ammalati di Covid-19 in forma grave”, spiega Fabiano Di Marco, Professore dell’Università degli Studi di Milano e Direttore della Pneumologia, ASST Ospedale Papa Giovanni XXIII, Bergamo. La consapevolezza di soffrire di una malattia respiratoria cronica ha spinto i pazienti ad adottare comportamenti virtuosi per proteggersi dal rischio di contrarre l’infezione. Alcuni studi hanno registrato anche un aumento dell’aderenza alla terapia inalatoria durante il lockdown. Il messaggio è di mantenere questa buona condotta anche quando saremo finalmente fuori dalla pandemia”.
“Chiesi conferma il proprio impegno al fianco dei pazienti italiani affetti da malattie respiratorie croniche che continuano a vivere con particolare apprensione il rischio di contagio da Covid-19, sostenendo le Società scientifiche e le Associazioni pazienti per fornire un supporto concreto fatto di ascolto, competenze e diffusione di conoscenze basate sulle evidenze scientifiche – commenta Raffaello Innocenti, Direttore Generale di Chiesi Italia. Una corretta informazione, basata sul rapporto diretto tra medico e paziente, grazie all’ausilio delle piattaforme social, è oggi più che mai fondamentale per aumentare la consapevolezza e rassicurare i pazienti, aiutandoli nella gestione quotidiana del percorso di cura e migliorandone la qualità di vita”.