Due indizi non faranno una prova, ma poco ci manca. Stando alle stime, il 6-8% della popolazione italiana è affetto da BPCO. E come sappiamo l’apparato respiratorio è il principale bersaglio, lo strumento di diffusione e trasmissione del COVID-19, causato dal virus SARS-CoV-2. Pur determinando una polmonite di tipo interstiziale, quindi senza attaccare direttamente gli alveoli dove avvengono gli scambi tra aria e sangue, il virus può avere un impatto pesantissimo sulla salute di chi fa i conti con questa malattia respiratoria cronica, tanto che una ricerca condotta in Cina sulle comorbilità di 1590 pazienti COVID-19 dimostra che i casi severi presentavano più probabilità di avere la BPCO rispetto a quelli meno gravi (62.5% vs 15.6%) e che un numero significativamente maggiore di pazienti con BPCO è andato incontro a ricovero in terapia intensiva, a ventilazione invasiva o a decesso rispetto ai malati senza BPCO (50% vs. 7.6%). In Italia, in base ai dati dell’Istituto Superiore di Sanità sulle patologie preesistenti, in 3335 soggetti sul totale dei 32.448 deceduti, la BPCO era presente nel 16.6% del campione (dati al 4 giugno).
“E’ evidente che l’apparato respiratorio rappresenta un target fondamentale quando si parla di COVID-19 e di persone con BPCO – dice il prof Francesco Blasi, Ordinario di Malattie dell’Apparato Respiratorio all’Università degli Studi di Milano – Una ricerca condotta in Cina (Leung JM et al. ERJ 2020) evidenzia come il fumo attivo e la BPCO alterino la regolazione dell’espressione del recettore ACE-2, “canale di ingresso” del virus SARS-CoV-2 nelle basse vie aeree, che può in parte spiegare l’aumentato rischio di forme COVID-19 gravi in queste popolazioni. I risultati sottolineano l’importanza prima di tutto di smettere di fumare e di un’aumentata sorveglianza di questi sottogruppi a rischio per la prevenzione e la diagnosi tempestiva di questa patologia potenzialmente dannosa”. Anche le linee guida Gold riconoscono che le persone con BPCO presentano i quadri clinici più gravi tra quelle colpite da COVID-19, incoraggiandole a seguire i consigli degli Organi di Salute Pubblica dei rispettivi Paesi per cercare di ridurre al minimo le possibilità di infezione e su quando e come chiedere aiuto qualora si mostrino i sintomi dell’infezione, e a mantenere la loro regolare terapia.
La BPCO è una malattia complessa ed eterogenea: complessa perché presenta diverse componenti con interazioni dinamiche non lineari, eterogenea perché non tutte queste componenti sono presenti in tutti i pazienti o nello stesso paziente in tutte le fasi della malattia. Questa complessità spiega e giustifica la necessità di un approccio focalizzato a migliorare la valutazione, il trattamento e gli esiti. I singoli pazienti possono aver bisogno di approcci di trattamento differenti nei diversi stadi della malattia. L’importante, dunque, e non solo per i rischi legati al virus, è studiare per ogni paziente il trattamento più efficace. Se nelle forme meno gravi, caratterizzate da un limitato rischio di esacerbazioni, cioè di aggravamenti acuti della cronicità, l’associazione di due farmaci ad azione antinfiammatoria e broncodilatatrice può essere sufficiente, nei pazienti che presentano più esacerbazioni appare fondamentale il trattamento di partenza con tre farmaci associati. Grazie a questo approccio, come conferma lo studio IMPACT, si può ridurre il rischio di morte per tutte le cause: il corpo infatti ha bisogno di ossigeno e se questo non è disponibile, come nel caso delle forme più serie, sono a rischio anche il cuore, l’albero circolatorio e altri distretti. Le ultime analisi post hoc dell’IMPACT ci dicono infatti che l’associazione precostituita tra di fluticasone furoato/umeclidinio/vilanterolo riduce significativamente, nella misura del 28%, il rischio di decesso per tutte le cause in questi pazienti rispetto all’associazione precostituita di 2 broncodilatatori.
“Questi risultati dicono che la triplice terapia è quella che riduce maggiormente la mortalità per causa cardiovascolare, respiratoria e correlata alla BPCO – spiega il prof, Girolamo Pelaia, direttore della Clinica Pneumologica Universitaria e della Scuola di Specializzazione in Malattie dell’Apparato Respiratorio dell’Università degli Studi di Catanzaro – L’ipotesi più probabile e consistente è che tale rilevante effetto sulla riduzione della mortalità derivi principalmente dall’efficacia della triplice terapia, nel diminuire le riacutizzazioni soprattutto severe, quelle cioè che richiedono ospedalizzazione: nello studio IMPACT il rischio di esacerbazioni che portano a ospedalizzazione è ridotto del 34% sempre rispetto alla terapia a due farmaci broncodilatatori. E’ importante rilevare che i vantaggi della triterapia sono indipendenti dal rischio di esacerbazioni: una sottoanalisi effettuata per valutare l’impatto della storia di riacutizzazioni dei pazienti dell’IMPACT sugli outcome clinici indica chiaramente che la triplice terapia fluticasone furoato/umeclidinio/vilanterolo è più efficace di entrambe le duplici terapie fluticasone furoato/vilanterolo e umeclidinio/vilanterolo nel prevenire le riacutizzazioni e nel migliorare lo stato di salute e la funzionalità respiratoria indipendentente dalla storia di riacutizzazione, in modo quindi consistente con l’analisi condotta sulla popolazione complessiva”.
I malati non sono tutti uguali. Ma esiste un fattore chiave condiviso che rappresenta un indice di gravità della BPCO e che presuppone un ottimale controllo della patologia. “La cronicità della BPCO – aggiunge il prof. Blasi – mina nel tempo la qualità di vita dei pazienti, gradualmente compromessa dal persistere dei sintomi tipici e, nella sua progressione, dalla comparsa di riacutizzazioni, fenomeni che colpiscono circa il 30% dei malati. La mancata risoluzione della sintomatologia, unita alla bassa aderenza e alla comparsa di riacutizzazioni, porta nel tempo i pazienti ad adottare un incremento della terapia. Questo studio dimostra chiaramente che grazie alla triplice terapia già in prima linea si può ottenere una riduzione del rischio di morte in questi malati”. “I risultati osservati nelle diverse analisi condotte sulla mortalità per tutte le cause – conclude il prof. Pelaia – sono consistenti tra loro e vanno tutti nella stessa direzione: la triplice terapia fluticasone furoato/umeclidinio/vilanterolo migliora la qualità di vita, la funzione polmonare e riduce le riacutizzazioni moderate/gravi. Non dovremmo quindi sorprenderci di fronte ai dati di riduzione della mortalità, soprattutto tenendo conto del ruolo dei fattori di rischio per la mortalità nei pazienti con co-morbilità in generale e con BPCO in particolare. La conta degli eosinofili nel sangue può essere di supporto nel discriminare i diversi effetti del trattamenti nei pazienti con il rischio maggiore di riacutizzazioni (≥2 moderate o almeno 1 severa), mentre ha meno impatto nel gruppo con 1 sola riacutizzazione moderata. Questi risultati sono rilevanti nella pratica clinica, in quanto un più elevato rischio di riacutizzazioni (basato sulla storia precedente) e una maggiore conta di eosinofili ematici supportando l’utilizzo della triplice fluticasone furoato/umeclidinio/vilanterolo o di fluticasone furoato/vilanterolo rispetto a umeclidinio/vilanterolo. Nell’attesa di ulteriori acquisizioni per comprendere il ruolo di questi marcatori, oggi possiamo offrire ai pazienti con BPCO frequenti riacutizzatori un trattamento che consente loro di vivere meglio e più a lungo”.