Nel nostro Paese oltre 3 milioni di persone soffrono di depressione. Tra queste più di 2 milioni sono donne. Nonostante la depressione sia stata riconosciuta dall’Organizzazione Mondiale della Sanità come la prima causa di disabilità a livello mondiale, solo 1 paziente su 2 riceve un trattamento corretto e tempestivo.
Eppure, soprattutto quando parliamo delle forme più severe di depressione – in particolare quella maggiore che colpisce circa il 2% della popolazione italiana, con una netta prevalenza femminile – ci riferiamo ad una malattia fortemente invalidante che ha un elevato impatto sia sulla qualità di vita di chi ne soffre e dei caregiver, sia sui costi sociali. Basti pensare che da una recente indagine su più di 300 pazienti italiani, le giornate di lavoro perse ogni anno sono mediamente 42, circa 1 giorno a settimana. Risulta quindi doveroso da parte di tutti gli attori prendere parte ad una call to action concreta per un impegno concreto.
In occasione della Giornata Mondiale della Salute Mentale si è svolto l’incontro “Depressione sfida del secolo, verso un piano nazionale per la gestione della malattia” organizzato da Janssen, farmaceutica del gruppo Johnson&Johnson, impegnata da oltre 60 anni nell’area della salute mentale e da Onda, Osservatorio Nazionale sulla salute della donna e di genere.
Obiettivo dell’incontro è stato quello di accendere i riflettori sulla depressione maggiore, una patologia grave ma molto spesso dimenticata e sottovalutata nonostante secondo l’OMS – Organizzazione Mondiale della Sanità – è la prima causa di disabilità ed è destinata a diventare la prima causa di spesa sanitaria entro il 2030. E non è un caso se la Giornata Mondiale di quest’anno è dedicata alla prevenzione del suicidio (1 ogni 40 secondi ci dice l’OMS), una realtà purtroppo legata a doppio filo alle forme di depressione più severe e resistenti ai trattamenti.
La depressione maggiore – se non correttamente trattata – è infatti associata a un’elevata mortalità, stimata intorno al 15%. Nei pazienti affetti da disturbi dell’umore, la messa in atto di almeno un tentativo suicidario nel corso della vita arriva a coinvolgere un individuo ogni tre.
La depressione maggiore: dati e cifre
Nel solo decennio 2005-2015 si è assistito a un aumento dei casi di circa il 20% e a oggi la depressione coinvolge nel mondo oltre 300 milioni di persone ed è diventata la prima causa di disabilità a livello globale (fino a 20 anni fa si trovava al quarto posto).
Complessivamente nel nostro Paese la depressione – in tutte le sue forme – colpisce più di 3 milioni di pazienti; la depressione maggiore circa 1 milione: di questi, solo la metà ha ottenuto diagnosi e trattamento. Circa il 30% dei pazienti con depressione maggiore, ossia circa 130.000 pazienti, non risponde ai trattamenti tradizionali, nonostante una corretta aderenza alle terapie, somministrate a dosi e per tempi adeguati.
Il genere femminile è correlato a un rischio doppio di incorrere in un disturbo depressivo rispetto al genere maschile.
“I disturbi mentali – spiega il professor Claudio Mencacci, Presidente della Società Italiana di Neuropsicofarmacologia e Direttore del Dipartimento di Neuroscienze del Fatebenefratelli di Milano – “sono la principale causa di morte, disabilità e impatto economico al mondo. Le patologie che colpiscono il sistema nervoso centrale e, in particolare la depressione maggiore, sono molto più frequenti di quanto si possa pensare, ecco perché dovrebbero essere considerate la principale sfida per la salute globale del XXI secolo”. Basti pensare che circa 1/3 dei pazienti affetti da depressione maggiore non ottiene una risoluzione dei propri sintomi di malattia, andando incontro a cronicizzazione del disturbo. La persistenza e l’aggravamento di sintomi quali apatia, anedonia, insonnia, pensieri di colpa e ideazione suicidaria, generano una frattura sempre più marcata tra la persona e la sua vita precedente all’episodio depressivo.
I costi sanitari e sociali della depressione resistente al trattamento in Italia
Il nostro Paese è oggi il ventesimo in Europa per la spesa dedicata alla salute mentale (3,5% della spesa sanitaria totale rispetto al 8-15% degli altri paesi del G7), eppure i costi diretti e indiretti legati a questa patologia sono molto elevati. I risultati di una nuova indagine, che ha coinvolto più di 300 pazienti italiani con depressione maggiore resistente al trattamento, ci dicono che il costo medio sanitario relativo ai costi diretti della depressione maggiore è di 2.612 euro per ogni paziente, ed ancor più impressionante è il dato relativo ai costi indiretti ovvero legati alla perdita di produttività. Le giornate di lavoro perse ogni anno sono mediamente 42, circa 1 giorno a settimana. In media, i costi indiretti possono essere stimati a: 7.140 euro (media nazionale), pari a circa il 70% del costo totale della patologia.
Si stima che in Italia il costo sociale della depressione, in termini di ore lavorative perse, sia complessivamente pari a 4 miliardi di euro l’anno. A questi costi si aggiungono i costi legati ai caregiver tenendo presente che per ogni paziente sono coinvolti almeno 2-3 familiari.
Con riferimento alla spesa out of pocket, invece, l’analisi stima un valore medio nazionale pari a 615 euro a paziente.
“La valutazione dei costi diretti legati ad una patologia – spiega il professor Francesco Saverio Mennini, docente di Economia Sanitaria Università Tor Vergata di Roma – è legata all’analisi di tutta una serie di voci di spesa: ospedalizzazioni, visite, spese farmaceutiche, accessi al pronto soccorso. Ma i costi diretti non sono l’unico tassello da tenere in considerazione: abbiamo visto che i costi indiretti possono gravare in maniera importante, basti pensare ai costi previdenziali legati all’elevato numero di giorni di assenza dal lavoro causato da una patologia come la depressione maggiore (nel periodo considerato nell’analisi, 2009-2015, 650 milioni di Euro per Assegni ordinari di Invalidità e pensioni di Inabilità, con un incremento dei costi di circa il 40%). Questi dati testimoniano che stiamo parlando di una malattia fortemente invalidante, che impatta in maniera significativa sulla vita dei pazienti e della società, da molteplici punti di vista”.
Salute mentale: più risorse e un approccio multidisciplinare per servizi più efficienti
A fronte di questi dati, in realtà nel nostro Paese la spesa media per i servizi di salute mentale è inferiore al 3,5% della spesa sanitaria, a fronte dell’8-15% investito negli altri paesi del G7.
“Nell’ambito dei paesi più industrializzati (gruppo del G7) – afferma Enrico Zanalda, Presidente Società Italiana di Psichiatria e Direttore del Dipartimento Integrato di Salute Mentale ASL TO3 e AOU San Luigi Gonzaga di Torino – siamo l’unico a non avere più ospedali psichiatrici. Il nostro Paese, in confronto agli altri membri del G7, è caratterizzato dalla minore disponibilità di operatori e dalla minore percentuale di spesa sanitaria destinata alla salute mentale. La Società Italiana di Psichiatria in occasione del quarantennale della “legge Basaglia” ha ribadito le gravi difficoltà dei servizi di salute mentale italiani. Per rendere efficiente la rete dei servizi di un dipartimento di salute mentale è necessario introdurre l’innovazione organizzativa, tecnologica e farmacologica in modo da poter utilizzare al meglio le competenze delle équipe multidisciplinari. Maggiori investimenti culturali ed economici dovranno quindi concretizzarsi in migliori e più tempestivi percorsi di prevenzione, cura e riabilitazione nell’ambito della salute mentale, in particolar modo per le persone che soffrono di depressione maggiore, resistente ai trattamenti e a rischio di suicidio, nei confronti delle quali il giusto investimento in risorse organizzative, tecnologiche e farmacologiche è cruciale. Oggi, la Società Italiana di Psichiatria vuole ribadire quindi la necessità di un costante impegno di tutti gli attori coinvolti perchè non c’è salute senza salute mentale.
Il Libro bianco sulla salute mentale, verso un Piano Nazionale di gestione della malattia
L’incontro di oggi – a cui partecipa, in rappresentanza delle Istituzioni, Rossana Boldi, Vice-Presidente Commissione Affari Sociali Camera dei Deputati – non è solo l’occasione per fare il punto sulla patologia ma vuole essere un momento di confronto e una call to action concreta a tutti gli attori coinvolti. Ecco perché è stata simbolicamente firmata da tutti i relatori una copia del primo Libro Bianco sulla Salute Mentale in Italia, presentato per la prima volta proprio in questa occasione e che, nel corso del 2020, verrà portato all’attenzione delle Istituzioni delle principali Regioni italiane. Un gesto che vuole testimoniare l’impegno condiviso e concreto volto a combattere gli stereotipi, facilitare l’accesso alle cure anche innovative e a migliorare la qualità della vita di chi soffre, contribuendo al tempo stesso a ridurre l’alto impatto di risorse socio economiche legato a questa patologia. Una call to action che coinvolge gli attori Istituzionali con l’obiettivo di arrivare ad avere anche in Italia un Piano Nazionale per la gestione della malattia.
Nel video:
- Claudio MENCACCI
Presidente della Società Italiana di Neuropsicofarmacologia- Rossana BOLDI
Vice-Presidente Commissione Affari Sociali Camera dei Deputati- Massimo SCACCABAROZZI
Amministratore Delegato e Presidente Janssen Italia