Dalla cataratta al distacco di retina, fino al glaucoma, i circa 7.000 medici oculisti presenti in Italia ogni anno salvano la vista a un milione e 300mila persone. Entro il 2025 il numero di chi soffre di queste malattie è destinato a triplicare ma, ancora oggi, per una patologia grave come la maculopatia, quasi 2 pazienti su 3 non hanno accesso alle terapie o lo hanno solo in parte. A lanciare l’allarme, il presidente della Società Oftalmologica Italiana (Soi) Matteo Piovella, in occasione della conferenza stampa presso la sala Nassirya del Senato.
“A causa dell’allungamento della vita e dei sempre maggiori stress a cui l’occhio è sottoposto attraverso il lavoro al computer, aumenta il numero di problemi alla vista”, commenta il presidente Soi Matteo Piovella. “Spesso però, per la troppa burocrazia e le poche risorse, le cure a cui i pazienti hanno accesso non sono le migliori”. Particolarmente problematica è la cura della maculopatia, che colpisce una persona su 3 dopo i 70 anni, riducendone l’autonomia e la qualità della vita.
A parlare, spiega Piovella, sono i numeri. “Esistono oggi terapie molto efficaci che hanno rivoluzionato la storia della malattia e consistono nella somministrazione di iniezioni intravitreali. Ma, mentre in Inghilterra, Francia e Germania se ne eseguono ogni anno un milione, a fronte di simili esigenze, in Italia se ne effettuano solo 300.000: questo significa che da noi circa il 70% dei pazienti che ne avrebbe bisogno, non ne riceve o non ne riceve a sufficienza, vanificandone il risultato curativo”. La soluzione? “Portare fuori queste terapie dalla fascia H, ovvero somministrabili solo in ospedale, e inserirle tra quelle di fascia A, come accade in tutto il mondo”. A non avere accesso alle ultime terapie disponibili sono anche coloro che vengono operati di cataratta, uno degli interventi più frequenti effettuati al mondo, di cui se ne eseguono ogni anno in Italia circa 650mila. “Solo l’1% di chi viene operato riceve i trattamenti con le migliori tecnologie, ovvero laser di ultima generazione e il cristallino artificiale hi-tech che, insieme alla cataratta, permette di operare anche altri difetti come presbiopia e miopia”, commenta Piovella. Quindi l’appello alla politica: “per le note difficoltà di reperimento delle risorse e dei tempi della burocrazia, tutte queste positive innovazioni non possono essere adottate dal nostro Servizio Sanitario Nazionale e la sanità pubblica non riesce a stare al passo con la velocità di evoluzione della tecnologia. Con 150 milioni l’anno saremmo in grado di curare tutti e nel migliore dei modi”.
Nuove terapie per la cura della maculopatia arriveranno nei prossimi mesi in Italia. Basate sullo stesso meccanismo di quelle oggi in uso, hanno però il beneficio di dover esser somministrate meno di frequente, diminuendo i disagi per i pazienti e anche la mole di lavoro per far fronte a una terapia sempre più richiesta. Prima causa di cecità nei Paesi industrializzati, la maculopatia colpisce circa 650mila persone in Italia. “E una malattia che danneggia la parte centrale della retina chiamata macula, ovvero il sensore che ci permette di vedere”, spiega Federico Ricci, direttore del Centro di Riferimento Regionale per la Maculopatia del Policlinico di Tor Vergata. Il 90% dei casi di grave perdita della vista è dovuto alla forma umida della malattia, quella cioè in cui “l’aumento di una proteina, chiamata VEGF, stimola la formazione anomala di vasi sanguigni nell’occhio. E questi, a loro volta, perdono liquido, causando un accumulo di fluido nella retina, che ne altera le funzioni”.
Difficoltà a mettere a fuoco, visione ondulata o con una macchia a centro: questi i primi sintomi su cui bisogna intervenire il prima possibile perché, se non curata per tempo, la malattia può portare a una completa perdita della visione centrale, che non permette più di leggere, guidare o riconoscere volti. Fumo, età avanzata, sovrappeso e colesterolo elevato sono fattori di rischio. Le prime terapia a base di laser risalgono agli anni 80. “Da quando è stata individuata la causa fisiopatologica della malattia – prosegue – sono stati sviluppati farmaci inibitori del VEGF. Oggi ne esistono diversi, ma hanno lo stesso bersaglio terapeutico e devono esser somministrati per via intravitreale, ovvero attraverso un piccolo intervento durante il quale il farmaco viene inserito nel bulbo oculare. Questo rappresenta un momento traumatico per alcuni pazienti, anche perché va ripetuto diverse volte in modo ravvicinato”. Se il futuro lontano guarda già all’utilizzo della genetica, il futuro prossimo vede in arrivo terapie, simili a quelle in uso ma che potranno esser somministrate con minor frequenza. “Si tratta – spiega Ricci – del brolucizumab un frammento di anticorpo, il più avanzato clinicamente, che ha superato la fase 3 di sviluppo ed è in fase di approvazione negli Stati Uniti. Per le sue piccole dimensioni, permette un’ottima penetrazione nei tessuti”. In questo modo, conclude l’esperto, “consente una inibizione più potente del VEGF e riduce, di conseguenza, la frequenza degli interventi. A beneficio dei pazienti, dei loro accompagnatori e del carico di lavoro per le strutture sanitarie”.
Nel video:
- Federico RICCI
Direttore Centro Maculopatia Policlinico Tor Vergata Roma- Matteo PIOVELLA
Presidente Società Oftalmologica Italiana