La BPCO rimane un problema sociale non di poco conto. E non solo perché si avvia a diventare la quarta causa di morte sul pianeta: è una delle poche malattie croniche maggiori per le quali i tassi di mortalità sono ancora in aumento. Per dare un parametro numerico e capirne le dimensioni, nel 2010 le stime parlavano di 384 milioni di persone affette nel mondo, con una prevalenza globale dell’11,7%, a carico soprattutto degli uomini. In Italia è ragionevole pensare che la BPCO interessi il 10% della popolazione, con un grande warning: i pazienti si presentano dallo specialista in una situazione già parzialmente compromessa.
In questo quadro in chiaro scuro dove le ombre continuano a prevalere sulle luci, i progressi della ricerca hanno fortunatamente consentito ai clinici di contare su farmaci che assicurano, come detto, una più efficace personalizzazione della terapia.
“La BPCO è una malattia complessa ed eterogenea – spiega il prof. Giorgio Walter Canonica, Professore Straordinario di Malattie dell’Apparato Respiratorio, Humanitas University di Milano – Complessa perché presenta diverse componenti con interazioni dinamiche non lineari. Eterogenea perché non tutte queste componenti sono presenti in tutti i pazienti o, nello stesso paziente, in tutte le fasi della malattia. Questa complessità dinamica ed eterogenea spiega e giustifica la necessità di un approccio focalizzato a migliorare la valutazione, il trattamento e gli esiti. I singoli pazienti possono aver bisogno di approcci di trattamento differenti nei diversi stadi della malattia. Alla BPCO – prosegue il prof. Canonica – sono associate diverse comorbidità, principalmente cardiovascolari o metaboliche. Al momento, i broncodilatatori e i corticosteroidi rappresentano il trattamento principale, per la loro efficacia ben dimostrata nel miglioramento delle due componenti della malattia: anomalie funzionali (ostruzione delle vie aeree e iperinflazione polmonare, responsabili dei sintomi respiratori) e infiammazione cronica delle vie aeree”.
“La cronicità della BPCO – dice il prof. Francesco Blasi, Ordinario di Malattie dell’Apparato Respiratorio all’Università degli Studi di Milano – mina nel tempo la qualità di vita dei pazienti, gradualmente compromessa dal persistere dei sintomi tipici e, nella sua progressione, dalla comparsa di riacutizzazioni, fenomeni che colpiscono circa il 30% dei malati. La mancata risoluzione della sintomatologia, unita alla bassa aderenza e alla comparsa di riacutizzazioni, porta nel tempo i pazienti ad adottare un incremento della terapia. Le triplici combinazioni rappresentano il passo successivo per i pazienti che rimangono sintomatici o presentano riacutizzazioni malgrado il trattamento con broncodilatatori di mantenimento o con corticosteroidi inalatori (ICS)/agonista dei recettori beta2-adrenergici a lunga durata d’azione (LABA). E’ stato stimato che circa il 24% dei pazienti che al momento della diagnosi inizia il trattamento in mono o in duplice terapia inalatoria, riceve uno step-up alla triplice terapia a ventiquattro mesi dalla diagnosi”.
La triplice in un unico device e in monosomministrazione è l’ultima novità. Tre molecole: fluticasone furoato, umeclidino e vilanterolo, vale a dire due broncodilatatori e un cortisonico. In termini tecnici un LABA, un LAMA e un ICS, tutti racchiusi un unico erogatore, per il cui utilizzo servono tre semplici mosse: si apre, si inala e si chiude. E’ la nuova triplice terapia di GSK indicata per i pazienti affetti da broncopneumopatia cronica ostruttiva nelle forme moderate e gravi. Si tratta della prima combinazione fissa di tre molecole a lunga durata d’azione in monosomministrazione giornaliera, con la quale GSK amplia ulteriormente il proprio portfolio.
Nel video:
- Francesco Blasi
Professore Malattie Respiratorie Università di Milano- Andrea Rizzi
Direttore medico area respiratoria GSK