Osteoporosi: cosa fare dopo una frattura

Le fratture da fragilità rappresentano una vera e propria emergenza. In Italia, solo nel 2017, secondo i dati della International Osteoporosis Foundation si sono verificati più di 600.000 casi. Ma si stima un’incidenza molto maggiore nella realtà. Sono circa 3.200.000 donne e 800.000 uomini colpiti da osteoporosi, che è la condizione che minaccia le ossa rendendole più fragili, ma di cui spesso non si percepiscono sintomi o segnali finché non si verifica una frattura, nella maggior parte dei casi causata da una caduta o un trauma banale.  Queste fratture possono manifestarsi con scarso dolore per cui  spesso vengono diagnosticate molto in ritardo e solo casualmente. E il ritardo nella diagnosi non è purtroppo l’unico punto debole del percorso diagnostico e terapeutico: oggi il paziente che subisce una frattura nella maggior parte dei casi viene dimesso dall’ospedale senza aver ricevuto una diagnosi di osteoporosi e solo una persona su cinque riceve un trattamento farmacologico per l’osteoporosi, nonostante siano disponibili farmaci efficaci. Manca quindi un corretto approccio alla prevenzione secondaria, finalizzata a ridurre in particolare il ‘rischio imminente di frattura’ ovvero l’aumento delle possibilità di ulteriori fratture nei due anni successivi a quella iniziale. Solo il 20-25% delle persone con fratture di femore riceve una prescrizione di indagine densitometrica o un trattamento farmacologico per l’osteoporosi a seguito della dimissione dall’ospedale. Eppure un paziente che ha già subito una frattura è maggiormente predisposto a subirne un’altra: in particolare nei primi due anni successivi alla frattura questo rischio aumenta infatti di ben 5 volte ed è questo concetto che intendiamo quando parliamo di “rischio imminente di frattura”.
Le sfide sono quindi ancora tante, anche se molto è stato fatto anche in termini di rapidità di intervento in campo ortopedico, dove il modello attualmente applicato rappresenta un vero e proprio successo per l’ortopedia italiana che ha realizzato un’ottimale e tempestiva gestione delle fratture del collo del femore, utilizzabile anche per affrontare la gestione dell’emergenza delle fratture da fragilità.“Nei casi di frattura del collo del femore, oggi si auspica un trattamento di riduzione della frattura o l’impianto di protesi entro le 48 ore – dall’ingresso in ospedale all’intervento vero e proprio. La tempestività di trattamento è fondamentale per ottenere un incremento delle possibilità di ripresa del paziente e della funzionalità, che si traduce in un ritorno all’autonomia pre-frattura. Al contrario, lunghe attese per l’intervento corrispondono a un aumento del rischio di mortalità e di disabilità del paziente” spiega Francesco Falez, Presidente della Società Italiana di Ortopedia e Traumatologia (SIOT) e Direttore U.O.C Ortopedia Ospedale Santo Spirito Roma.
Lo specialista oggi può optare per il trattamento conservativo o chirurgico a seconda della situazione evidenziata dagli opportuni approfondimenti diagnostici, che devono tener conto anche dei fattori prognostici dell’osteoporosi e di eventuali comorbidità. “Nella maggior parte dei casi, le fratture da fragilità richiedono un trattamento specifico con l’utilizzo di strumenti e device che devono sopperire a una capacità di resistenza dell’osso ridotta” – spiega il Prof. Falez. “Abbiamo quindi adottato tecniche di irrobustimento e potenziamento che possano contrastare la fragilità dell’osso, anche in ambito chirurgico. Infine, è necessario non abbandonare mai il paziente che, oltre al trattamento farmacologico, deve essere informato su dieta, esercizio fisico, apporto di vitamina D e calcio per una ripresa fisica ottimale e completa”.

Nel video:
Francesco FALEZ
Presidente SIOT-Società Italiana di Ortopedia e Traumatologia
Maria Luisa BRANDI
Presidente Fondazione Italiana Ricerca sulle Malattie dell’Osso 
Pasquale IMPESI
Amministratore Delegato UCB Italia
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