Scarsa igiene, punture di zanzare, resistenza da parte del virus ai disinfettanti sono i timori di contrarre l’HIV. Sottostima dei rischi legati ad eventuali risse tra detenuti (considerate innocue dal 60 per cento degli intervistati) e allo scambio di spazzolini e rasoi. Inspiegabile timore della saliva, che viene ancora considerata veicolo del virus da quattro persone su dieci, e dell’urina, anch’essa temuta come possibile fonte di contagio da quasi una persona su tre. Sono solo alcuni dei dati che emergono dalla ricerca condotta su un migliaio di persone in 10 carceri italiane nell’ambito del progetto “Free to live well with HIV in Prison”, che oltre a contrastare lo stigma e a migliorare la prevenzione dell’infezione nelle strutture carcerarie punta a favorire un mutamento nella gestione dell’infezione e a definire modelli di buone pratiche che possano essere adottati anche in altre strutture.
La ricerca, presentata dai promotori del progetto, SIMPSE, NPS Italia e Università Ca’ Foscari Venezia, grazie ad un contributo non condizionato di ViiV Healthcare e col patrocinio del Ministero di Giustizia e del Ministero della Salute, offre per la prima volta una fotografia della conoscenza sull’HIV nelle carceri italiane. E svela le false paure e i rischi non riconosciuti che intralciano l’efficacia della prevenzione, tracciando le linee per prevenire e combattere l’infezione.
Innovativa la modalità di approccio utilizzata che ha preso il via dalla raccolta dei dati che rivelano il livello di conoscenza sull’infezione da HIV nelle carceri, per erogare una formazione ad hoc e promuovere la prevenzione anche con l’ausilio dei test. Va inoltre segnalato che anche se solo un detenuto su cinque considera giusto che non si conosca l’eventuale sieropositività di un compagno di cella, nel complesso sono emersi segnali positivi a riprova di come gradualmente lo stigma verso la malattia si stia sciogliendo. La ricerca mette in luce anche il valore dell’educazione tra pari per fare una corretta informazione sia nei confronti della popolazione carceraria sia della polizia penitenziaria. In questo senso, tra i molti aspetti considerati, l’attenzione si è concentrata sulla disponibilità degli stessi detenuti a diventare “educatori” nei confronti degli altri. Complessivamente il 47,7 per cento la considera una buona idea, dato che tra compagni ci si ascolta più facilmente e ci si capisce di più.
Tra i dati emersi, va sottolineato anche un dato preoccupante: la limitata fiducia da parte delle persone nella terapia per l’infezione da HIV. Solo il 68% dei detenuti la assumerebbe se si scoprisse sieropositivo.
L’originalità del progetto è rappresentata dall’introduzione negli istituti, per la prima volta, dei test HIV rapidi che, in associazione ad un programma formativo allargato anche a personale sanitario e polizia penitenziaria, si sono dimostrati uno strumento di screening valido per la rapidità di risposta, l’immediatezza di esecuzione e la possibilità di realizzare un counselling efficace.
Nel video:
- Alessandro BATTISTELLA
Docente Università Ca’ Foscari Venezia- Margherita ERRICO
Presidente NPS Network Persone Sieropositive- Maurizio AMATO
Amministratore delegato di ViiV Healthcare