L’insufficienza cardiaca è tra le principali cause di mortalità. Servono diagnosi tempestive e terapie mirate. Per contenere i costi si rischia di non garantire le cure approdiate.
Negli ultimi anni abbiamo assistito a un progresso esplosivo nelle conoscenze in cardiologia. Il risultato è un miglioramento senza precedenti nella salute della popolazione ma anche la necessità di un continuo aggiornamento da parte dei cardiologi e dei medici in generale. Con questi presupposti si è svolto il congresso internazionale di cardiologia dal titolo “From Scientific Evidence to Clinical Practice”, organizzato dalla Scuola di Specializzazione in Cardiologia dell’Università di Messina e promosso dalla Fondazione Internazionale Menarini.
Tra le varie cause di patologia cronica e disabilità, l’insufficienza cardiaca è oggi una delle condizioni cliniche più rilevanti per la sua frequenza, il carico assistenziale che comporta (e, di conseguenza, i costi ad esso correlati), le implicazioni in termini di mortalità, morbilità e qualità di vita. Secondo dati del Ministero della Salute l’ipertensione determina duecentomila i ricoveri l’anno in Italia di cui quindicimila in Sicilia, ed è stata la prima in assoluto per numerosità tra le cause patologiche. «E’ questo uno dei principali fattori di rischio da cui derivano quasi diecimila ricoveri l’anno per infarto miocardico nella sola Sicilia» avverte Scipione Carerj, Docente di Malattie Apparato Cardiovascolare all’Università di Messina e presidente del Simposio. «Studi recenti, valutando l’epidemiologia clinica dell’insufficienza cardiaca nell’anziano, stimano che in Italia vi siano circa tre milioni di cittadini affetti da questa condizione, sia in forma conclamata sia asintomatica. Per questi ultimi una diagnosi tempestiva può essere essenziale e una ecocardiografia è utile per individuare un’eventuale progressione dell’insufficienza cardiaca o un aumentato rischio di sviluppare un evento cardiovascolare».
Ipertensione e insufficienza cardiaca, un legano pericoloso
L’ipertensione è particolarmente diffusa nella nostra popolazione poiché interessa il 20% della popolazione generale e il 30% delle persone con più di 65 anni. «L’ipertensione può determinare un’insufficienza cardiaca perché favorisce l’insorgenza di ipertrofia cardiaca, cioè l’aumento di dimensione dei ventricoli cardiaci (le camere inferiori del cuore) che faticano a contrarsi» spiega Salvatore Novo, Direttore della Scuola di Specializzazione in Cardiologia all’Università di Palermo. «Le persone con questa condizione apparentemente stanno bene, ma cominciano ad avere dispnea da sforzo, per esempio quando salgono le scale, e gradualmente si rendono conto di avere un problema di salute. Se questa condizione è associata non solo a ipertensione, ma anche diabete o ipercolesterolemia, è ancora maggiore il rischio che si sviluppi un evento acuto, come l’infarto».
Numero chiuso per alcuni interventi chirurgici
L’ipertrofia cardiaca è favorita anche dalla stenosi aortica, che in Italia e in Sicilia ha una prevalenza del 15-16% Di questi solo il 75% viene sottoposto a correzione chirurgica, a causa del rischio operatorio ritenuto troppo elevato. Sono infatti oltre cinquantamila gli Italiani colpiti da stenosi aortica grave e sintomatica (1), ma sono solo dodicimila le sostituzioni chirurgiche e meno di quattromila le TAVI che vengono praticate ogni anno in Italia. Il termine TAVI sta per Transcatheter Aortic Valve Implantation. Sono protesi cardiache che possono essere impiantate in sostituzione delle valvole malate senza dover “fermare” l’attività del cuore; in alcuni casi non è necessario aprire il torace del paziente in quanto la via d’accesso è rappresentata da un’arteria periferica. La TAVI è indicata in modo particolare per quei pazienti che per l’età avanzata o per la gravità della patologia non possono essere operati con la chirurgia tradizionale, perché il rischio di morte durante l’intervento è troppo elevato.
E secondo i cardiologi lo scarso utilizzo qi queste tecniche più moderne e meno invasive è da imputarsi anche alla politica della riduzione dei costi in sanità.
«I direttori generali di diversi ospedali chiedono di concordare i budget di utilizzazione per impianto di valvole TAVI, anche se questi pazienti non hanno nessun altra chance di sopravvivenza se non quella di avere una sostituzione della valvola» dichiara Francesco Romeo, Presidente della Società Italiana di Cardiologia. «Se in un ospedale viene imposto per esempio un numero massimo di sessanta TAVI l’anno, dobbiamo negare l’intervento dal sessantunesimo paziente in poi, e stiamo parlando di persone che senza intervento vanno incontro a morte certa entro sei mesi. Per molti il decesso avviene mentre sono ancora in lista d’attesa e a mio parere questo significa negare il diritto alla salute. E poi il contenimento dei costi è soltanto teorico: è vero che l’intervento di TAVI è più costoso di quello tradizionale, ma dopo una TAVI il paziente torna a casa dopo pochi giorni, mentre quello sottoposto a chirurgia tradizionale deve fare alcune settimane di riabilitazione, che hanno un costo ben più elevato dell’intervento in sé». E i dati parlano chiaro: eravamo la nazione europea al secondo posto per numero di TAVI, oggi siamo scivolati al decimo posto.
(1) Per stenosi aortica s’intende il restringimento della valvola aortica, attraverso cui passa il sangue prima di immettersi nel sistema arterioso. A causa di tale ostruzione, il ventricolo sinistro è costretto ad aumentare la propria pressione di spinta: come conseguenza diretta si ha l’ipertrofia (ingrossamento) della parete cardiaca. La stenosi aortica è una patologia valvolare molto comune nei Paesi Occidentali, la più frequente in Italia: la fascia di età a rischio è compresa tra i 60 e i 70 anni. Se non adeguatamente trattata, l’evoluzione della malattia è causa di morte nel 50% degli individui a distanza di tre anni dall’inizio dei sintomi.