Livelli elevati di colesterolo nel sangue sono un importante fattore di rischio in quanto contribuiscono allo sviluppo di malattia cardiovascolare, la principale causa di decesso nei paesi occidentali.
Grazie alle statine, all’associazione di statine ed ezetimibe fino a nuove terapie efficaci anche nei casi più difficili, il controllo del colesterolo è sempre più raggiungibile anche grazie allo studio del DNA. Negli ultimi anni si è assistito a una diffusione di informazioni derivanti dalla genetica e dalla biologia, che hanno mostrato la strada per una migliore conoscenza della fisiologia e della patologia della dislipidemia. Con l’aiuto della genetica la conoscenza delle lipoproteine è migliorata notevolmente. Inoltre lo studio del DNA e delle mutazioni che causano la malattia ha contribuito a sviluppare nuovi farmaci per trattare le dislipidemie. Sono questi i temi principali del Simposio Internazionale “Plasma lipids, lipoproteins and cardiovascular diseases: from genes to clinical intervention” in programma a Milano dal 21 al 23 aprile 2016, organizzato dal Centro per lo Studio dell’Aterosclerosi e dal Centro di Epidemiologia e Farmacologia Preventiva, Dipartimento di Scienze Farmacologiche e Biomolecolari, Università di Milano, e promosso dalla Fondazione Internazionale Menarini.
Negli ultimi anni le terapie con statine hanno determinato una significativa riduzione negli eventi cardiovascolari, però rimane un rischio residuo in alcuni gruppi di popolazione, tra cui i pazienti che non tollerano le statine e pazienti ad alto rischio cardiovascolare in cui non si osserva una riduzione del colesterolo LDL nonostante siano trattati con alte dosi di statine. «Riguardo le implicazioni clinico-terapeutiche, lo studio IMPROVE-IT ha fornito un’evidenza rilevante per l’impiego della terapia di combinazione di statine ad alta efficacia ed ezetimibe come scelta terapeutica iniziale in una vasta categoria di pazienti dopo sindrome coronarica acuta, ovvero in tutti coloro nei quali è necessaria una riduzione dei livelli di colesterolemia LDL superiore al 50% nei pazienti con insufficienza renale cronica e/o diabete» spiega Alberico Catapano, Presidente della Società Europea Aterosclerosi, Docente di Farmacologia all’Università di Milano e chairman del congresso. «I pazienti trattati con l’associazione di statine ed ezetimibe hanno mostrato una riduzione dei livelli di colesterolo LDL del 24% rispetto a coloro che hanno assunto la sola simvastatina. In aggiunta, anche il rischio di infarto del miocardio e quello di ictus ischemico sono risultati significativamente ridotti».
Un altro gruppo di pazienti difficili da trattate sono quelli con ipercolesterolemia familiare, una dislipidemia genetica caratterizzata da livelli marcatamente elevati di colesterolo-LDL, con insorgenza di malattia cardiovascolare prematura.
I figli di un genitore con ipercolesterolemia familiare hanno il 50% di probabilità di nascere con la stessa condizione. La mutazione genetica riguarda la codifica per proteine del recettore delle LDL, per cui il fegato non è in grado di metabolizzare o rimuovere l’eccesso di LDL ed eliminarlo dall’organismo, determinando elevati livelli di colesterolo dalla nascita. L’ipercolesterolemia familiare è la condizione genetica più comune al mondo e colpisce una persona ogni 200-250, eppure meno dell’1% viene diagnosticato.
«La riduzione dei livelli di colesterolo è molto importante per contenere il rischio cardiovascolare, eppure solo la metà dei pazienti con ipercolesterolemia familiare viene trattato con le statine, forse anche perché le statine di bassa potenza sono inadeguate per il 95% di questi pazienti. E’ necessario un trattamento combinato con statine potenti ed ezetimibe, che può ridurre il colesterolo LDL del 60-70%. E comunque anche con questo trattamento solo in un paziente su quattro si ottiene una riduzione del colesterolo LDL sotto i 100 mg/Dl. Inoltre una percentuale di pazienti, che oscilla tra il 7 e il 29 per cento a seconda degli studi, non tollera le statine e abbandona la terapia a causa degli effetti collaterali» prosegue Catapano.
Un corretto approccio diagnostico a tali patologie, tanto diffuse quanto sottodiagnosticate, richiede un’accurata valutazione clinico-anamnestica con monitoraggio temporale dei valori di colesterolo. È essenziale un’accurata anamnesi familiare, la constatazione di eventi cardiovascolari nei familiari di primo grado valutandone l’età d’insorgenza e un attento esame obiettivo, comprensivo della ricerca dei segni fisici caratteristici delle diverse forme di dislipidemia (quali xantomi, xantelasmi, arco corneale). Solo una diagnosi precoce consente un trattamento adeguato, con miglioramento della prognosi di questi pazienti.
«Le strategie terapeutiche per le ipercolesterolemie sono molto limitate, in quanto i comuni ipolipemizzanti utilizzati nella pratica clinica (quali statine, ezetimibe, sequestranti gli acidi biliari e acido nicotinico) risultano poco efficaci per il raggiungimento degli obiettivi terapeutici, soprattutto per la forma omozigote» aggiunge Catapano. Gli anticorpi monoclonali anti-PCSK9 si propongono sul panorama degli ipolipemizzanti come farmaci innovativi ed efficaci, anche in gruppi di pazienti resistenti alle terapie standard. Buoni risultati sono stati ottenuti con somministrazioni bisettimanali o mensili a varie dosi e in varie tipologie di pazienti, compresi quelli con ipercolesterolemia familiare eterozigote, i non responsivi o intolleranti alle statine e in coloro non adeguatamente controllati nonostante la terapia ipocolesterolemizzante massimale. Aggiunti a statine ed ezetimibe, gli anticorpi anti PCSK9 hanno dimostrato un effetto additivo con punte di riduzione del colesterolo LDL ben superiori al 70%.
Nel video:
- Alberico Catapano
Presidente Società Europea Aterosclerosi