Un test per la secchezza oculare

Bruciore, secchezza, sensazione di sabbia negli occhi, sensibilità alla luce: potrebbero essere i sintomi della secchezza oculare. Per scoprirlo il Gruppo P.I.C.A.S.S.O. (Partners Italiani per la Correzione delle Alterazioni del Sistema di Superficie Oculare) promuove lo smart test, un questionario grazie al quale, rispondendo a poche domande, è possibile misurare la probabilità di soffrire di occhio secco. “Si tratta di un questionario, messo a punto dai colleghi Chalmers, Begley e Caffery, di semplice utilizzo che indaga la frequenza con cui si presentano sintomi come secchezza oculare, fastidio e lacrimazione eccessiva e l’intensità della secchezza e del fastidio nelle ultime ore della giornata. – spiega il professor Maurizio Rolando, del Centro Superficie Oculare, IsPre Oftalmica di Genova – Il paziente assegna un punteggio da 0 a 4 o a 5 a ciascun sintomo. Se il punteggio complessivo supera la soglia di 6 è probabile che ci sia un problema di occhio secco ed è bene che l’interessato si rivolga allo specialista”. Ovviamente maggiore è il punteggio totalizzato e maggiori saranno le probabilità che la diagnosi sia corretta. “Quando poi il punteggio superi il valore di 12 – aggiunge l’esperto – è necessario valutare il paziente con particolare attenzione e sottoporlo a ulteriori accertamenti per escludere la presenza di una sindrome di Sjogren”. Quest’ultima, una malattia autoimmune che provoca una disfunzione delle ghiandole lacrimali e salivari, è fortunatamente responsabile solo di una piccola parte dei casi di occhio secco. In generale si può dire che la disfunzione lacrimale dipende da una rottura dell’omeostasi del sistema di superficie oculare, normalmente garantita dalla presenza di una sufficiente quantità di lacrime, da una composizione e un’architettura regolare e stabile del film lacrimale, da una chiusura palpebrale corretta, con un normale ammiccamento, e da un adeguato ricambio del film lacrimale.
“L’assenza di una di queste condizioni, qualsiasi sia la causa, è all’origine della Sindrome da Disfunzione Lacrimale. – afferma Rolando – Se il Sistema della Superficie Oculare non è in grado di adattarsi e correggere rapidamente questa condizione di “malfunzionamento”, entra in un circolo vizioso che porta all’instaurarsi del danno e successivamente alla malattia. Il paziente con disfunzione lacrimale presenta sempre i segni tipici del fallimento del sistema: instabilità lacrimale, sofferenza epiteliale e infiammazione”. Col passare del tempo l’infiammazione tende a coinvolgere anche le fibre nervose corneali e le ghiandole delle palpebre, innescando e mantenendo molteplici circoli viziosi. In questa condizione l’infiammazione rappresenta un elemento-chiave, indipendentemente dai fattori che la provocano.
Per una corretta gestione dell’occhio secco è fondamentale che il paziente faccia riferimento a un oculista, anche perché i sintomi lamentati possono essere comuni ad altre patologie ed è quindi necessaria la valutazione dello specialista. “Spesso i pazienti riferiscono disturbi oculari, quali fotofobia, sensazione di corpo estraneo, bruciore, prurito, secchezza, affaticamento oculare e dolore. – spiega la dottoressa Pierangela Rubino, Dirigente Medico, AOU di Parma -.È anche possibile che si sviluppi rossore e, in alcuni casi, secrezione di muco. Più raramente viene riferita lacrimazione eccessiva, che è presente soprattutto nei primi stadi della patologia e che è da considerare una lacrimazione riflessa paradossa, dal momento che in caso di occhio secco la produzione basale di lacrime è ridotta”. Altri sintomi che possono disturbare chi soffre di occhio secco includono episodi di offuscamento della visione, sensazione di palpebre pesanti, minor tolleranza ad attività che richiedono uno sforzo visivo, come leggere o lavorare al computer. Chi presenta con una certa frequenza alcuni di questi sintomi dovrebbe eseguire il test. Uno degli obiettivi per cui è stato proposto è infatti anche quello di facilitare l’identificazione dei pazienti affetti da sindrome da occhio secco di gravità lieve o moderata, che spesso sfuggono alla diagnosi e al trattamento. Se la compilazione del questionario dà un risultato positivo è necessario fare riferimento all’oculista che, grazie alla visita e all’esecuzione di alcune indagini diagnostiche, sarà in grado di porre la diagnosi corretta e di impostare una terapia che dovrà per forza di cose essere cronica.
“È importante che il paziente comprenda che si tratta di una malattia caratterizzata da un’infiammazione cronica che, se non adeguatamente trattata, è destinata a peggiorare. – ribadisce la dottoressa Emilia Cantera, dell’Ospedale Israelitico di Roma – Deve inoltre avere ben chiaro che, trattandosi di una malattia cronica, avrà necessità di una terapia altrettanto cronica che potrà essere modificata in relazione ai risultati ottenuti”. L’aderenza del paziente alla terapia è infatti fondamentale per un buon risultato terapeutico.
“L’approccio proposto è la cosiddetta terapia 3+2 che – spiega il professor Pasquale Aragona, ordinario di oftalmologia all’Università di Messina – si fonda su tre cardini principali che fanno riferimento alle caratteristiche tipiche del dry eye: l’alterazione del film lacrimale, la sofferenza dell’epitelio e l’infiammazione. A queste si associano altri due aspetti importanti per ridurre l’instabilità della superficie oculare, vale a dire la terapia delle palpebre quindi l’igiene palpebrale e una terapia che in qualche modo agisca sull’innervazione della superficie oculare”.
Per ripristinare il film lacrimale e le condizioni ottimali dell’epitelio sono disponibili diverse formulazioni di lacrime artificiali. “Fra le sostanze impiegate per ripristinare il film lacrimale il gold standard è senza dubbio rappresentato dall’acido ialuronico, che deve possedere una viscosità tale da essere simile quella delle lacrime in modo da consentire di ricostruire uno spessore del film lacrimale efficiente. – sottolinea il prof. Aragona – L’impiego di molecole come il trealosio, che è in grado di stabilizzare l’ambiente intracellulare e di proteggere la cellula epiteliale dagli insulti provenienti dall’ambiente esterno consente invece di stabilizzare la qualità dell’epitelio”. Accanto alla terapia con i sostituti lacrimali, gli oculisti possono suggerire anche l’impiego di farmaci per controllare l’infiammazione, come gli steroidi locali utilizzati a cicli, e il ricorso a misure di igiene palpebrale, che può essere effettuata con impacchi caldo umidi e con l’eventuale impiego di antibiotici.
La secchezza oculare è uno dei sintomi presenti anche nel periodo successivo a interventi di chirurgia oftalmica. Anche in questi casi l’approccio deve tenere conto di più fattori. “In particolare, – puntualizza la dottoressa Rita Mencucci, della Clinica Oculistica dell’Università di Firenze – può essere molto utile curare l’igiene palpebrale nei pazienti con disfunzione delle ghiandole di Meibomio, evitare l’uso di colliri con vasocostrittori, instaurare, se possibile ancora prima dell’intervento, una terapia con un sostituto lacrimale che vada ad agire su instabilità lacrimale, danno epiteliale e infiammazione (circolo vizioso) e protrarla anche nel postoperatorio”.
Il test si completa di alcune raccomandazioni del gruppo P.I.C.A.S.S.O.* per limitare i disturbi dovuti al manifestarsi dell’occhio secco quali:

  • idratare l’occhio adeguatamente con sostituti lacrimali/colliri ad azione completa;
  • evitare di stare a lungo in ambienti secchi (riscaldamento, aria condizionata) che peggiorano i sintomi;
  • evitare l’esposizione diretta a fonti di aria o di calore;
  • ricordarsi di chiudere gli occhi per qualche secondo quando si legge, si lavora al computer o si è molto concentrati in qualche attività;
  • umidificare gli ambienti in cui si abita e si lavora;
  • evitare l’utilizzo di lenti a contatto finché non si ristabilizza la salute della superficie oculare.

Nel video:

  • Pierangela Rubino
    Dirigente Medico AOU di Parma
  • Emilia Cantera
    Ospedale Israelitico Roma
  • Maurizio Rolando
    Centro Superficie Oculare IsPre Oftalmica di Genova
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