L’epatite C è una malattia che in tutto il mondo colpisce 160 milioni di persone (quattro volte più delle persone con HIV), di cui 1,5 milioni in Italia, ovvero il 2% della popolazione.
L’Italia detiene anche il triste primato europeo per la prevalenza delle malattie epatiche e l’epatite C che, da sola o associata ad altri fattori, è la prima causa di cirrosi epatica e tumore al fegato.
L’OMS ha calcolato che ogni anno si registrano 3-4 milioni di nuovi casi di epatite C nel mondo
Circa un quarto dei pazienti con infezione da virus HIV si stima sia anche infetto da virus dell’epatite C. Sarebbero dunque quasi 7 milioni i pazienti co-infetti.
Per oltre un decennio, l’unica terapia disponibile per l’epatite C era basata su interferone e ribavirina a cui, nel 2011 si sono aggiunti gli inibitori della proteasi di I generazione (boceprevir e telaprevir). Dal 2014 l’avvento dei nuovi farmaci antivirali ad azione diretta (DAAs) ha innescato una vera e propria “rivoluzione” nella cura di questa patologia.
«La disponibilità dei nuovi regimi orali anti-HCV – precisa Massimo Colombo, Professore ordinario di Gastroenterologia dell’Università degli Studi di Milano – ha triplicato l’accesso alle cure dei pazienti ultrasettantenni e con cirrosi, raggiungendo alcune categorie, come i pazienti con severa insufficienza epatica, scompensati e con trapianto d’organo, in precedenza controindicate ai trattamenti a base di interferone».
«In questo scenario – prosegue Savino Bruno, Professore straordinario di Medicina Interna della Humanitas University of Medicine, Rozzano (Milano) – il controllo globale dell’epatite C non è più una chimera. Con l’evoluzione delle terapie il virus potrà essere eradicato e la trasmissione potrà essere controllata»
Nel video:
- Savino Bruno
Docente di Medicina Interna Università di Medicina Humanitas, Rozzano (MI)- Carlo Federico Perno
Docente di Virologia Università Tor Vergata di Roma