Intervento chirurgico, non interrompere la terapia antiaggregante

In Italia ogni anno si effettuano circa 142.000 angioplastiche coronariche (di cui 32.000 in corso di infarto acuto) e 12.000 angioplastiche periferiche. Su 142.000 angioplastiche una media del 10-20% dei pazienti può andare incontro nel corso dei 3-8 mesi successivi ad un intervento chirurgico (es. prostata, implantologia dentale, etc.) per un totale di circa 14.000 persone.

“Questi dati – commenta Gennaro Sardella, Presidente Comitato Scientifico della Società Italiana di Cardiologia Invasiva SICI-GISE – danno l’idea della grande quantità di pazienti in cura con farmaci che inibiscono l’aggregazione piastrinica, che si possono trovare ad affrontare un intervento chirurgico anche banale, come quello di natura odontoiatrica, ma che deve essere gestito per evitare possibili sanguinamenti più importanti rispetto ad un comune paziente. Non è necessario sospendere la terapia, anzi continuarla è una procedura sicura oltre che fortemente consigliata: lo ribadiscono le nuove linee guida del Surgery After Stenting Registry (SAS) il primo registro multicentrico italiano, frutto di un’attività multidisciplinare che ha coinvolto cardiologi clinici, cardiologi interventisti, anestesisti in accordo con 12 società nazionali di chirurgia (tra cui per esempio chirurgia generale, otorinolaringoiatria, ginecologia, ortopedia, neurochirurgia) e che ha valutato la fattibilità e la sicurezza nella pratica clinica delle Linee Guida SICI-GISE sulla gestione della terapia antiaggregante nei pazienti portatori di stent coronarici che devono sottoporsi a un intervento chirurgico.

Il registro è di particolare rilevanza poiché fino ad ora nella prassi clinica è sempre stato consigliato al paziente di interrompere la terapia antiaggregante, come per esempio l’aspirina, nel momento in cui doveva sottoporsi ad un intervento per evitare eccessivi rischi o complicanze di sanguinamento, trombosi o per esempio infarto peri-operatorio. I dati emersi dal registro hanno invece dimostrato che è possibile gestire la terapia antiaggregante, senza interromperla, valutando il profilo di rischio dei pazienti.

Nel video:

  • Sergio BERTI
    Presidente Società Italiana di Cardiologia Invasiva
Total
982
Condivisioni
Articolo Precedente

BPCO, dalla ricerca due finestre aperte per ridare aria ai polmoni

Articolo Successivo

Allergie alimentari prima causa di shock anafilattico nei bambini

Articoli correlati