NUOVE PROSPETTIVE DI CURA PER LA MIELOFIBROSI

La mielofibrosi è una malattia rara, di cui abbiamo scoperto parte delle basi molecolari nel 2005. Infatti il 60% circa dei pazienti con mielofibrosi presenta la mutazione V617F del gene JAK2. La malattia ha come caratteristica peculiare un’importante fibrosi a livello midollare con riduzione della componente mielopoietica midollare (ne deriva anemia e piastrinopenia) e un’espansione della mielopoiesi extramidollare determinante splenomegalia.
Esistono due forme di mielofibrosi, quella primaria e quella secondaria ad altre malattie mieloproliferative come la policitemia vera o la trombocitemia essenziale. L’incidenza della mielofibrosi è di circa 1,2 nuovi casi l’anno su 100.000 abitanti e pertanto ogni anno il numero di nuovi casi in Italia è circa 650 persone. La sopravvivenza media di questi pazienti è di 4-5 anni. In Italia sono circa 4000 le persone che soffrono di mielofibrosi.

Non esiste una terapia specifica, ma si utilizzano chemioterapici specie in presenza di splenomegalia, e di leucocitosi o piastrinosi. Se c’è febbre, sudorazione e calo di peso corporeo (si arriva a perdere anche 15/20 kg) allora si usa il cortisone. Se è presente anemia, il farmaco generalmente impiegato è il cortisone. La mielofibrosi è una malattia molto eterogenea che si può presentare con splenomegalia e anemia, piastrinosi o piastrinopenia, leucocitosi o leucopenia associata spesso ai sopra riportati sintomi sistemici.
Da poco, in Europa è stato approvato ruxolitinib. Il farmaco inibisce l’attività chinasica di JAK2 e JAK1 coinvolti nell’ematopoiesi il primo e nello sistema infiammatorio il secondo. Agendo anche su STAT blocca la trasduzione del segnale JAK/STAT indipendentemente dalla mutazione (JAK2, MPL,…) che ne sostiene l’attivazione. Spegnendo questa via cellulare, contiene l’eccessiva produzione cellulare della malattia.
Il medicinale agisce su due punti: innanzitutto riduce la splenomegalia che è un fattore fortemente limitante la qualità di vita dei pazienti: la milza può occupare grande parte dell’addome. In questi casi il farmaco riduce il volume della milza e i conseguenti disturbi addominali. Ho visto pazienti che sono tornati ad alimentarsi regolarmente. Grazie al farmaco si potrebbero ridurre alcune complicanze vascolari.
Inoltre, il farmaco riduce i sintomi sistemici come febbre, sudorazione, prurito (alle volte fastidiosissimo), dolori ossei, fatigue. Una buona parte dei pazienti riacquista peso e migliora la propria qualità di vita e riprende persino a lavorare.

Nel video intervistati:

  • Alessandro Maria Vannucchi
    Professore di Ematologia Università di Firenze
  • Francesco Passamonti
    Direttore Ematologia Ospedale di Circolo e Fondazione Macchi – Varese
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