I cardiologi italiani, riuniti al congresso annuale della Società italiana di cardiologia, fanno il punto sull’assistenza in Italia. La mortalità cardiovascolare si è ridotta negli ultimi 15-20 anni, passando dal 14 per cento all’attuale 4 per cento. Risultati eccellenti, ottenuti grazie all’attuale organizzazione dei reparti di cardiologia. Per ridurre i costi, però, è possibile che si passi a un nuovo sistema, che in pratica azzera i reparti di cardiologia.
Numerosi anche i temi clinici affrontati durante il congresso. E’ sempre l’infarto il numero uno per incidenza e mortalità. Ogni anno nel nostro Paese si verificano 80mila infarti e circa 20-30 mila reinfarti con una mortalità ospedaliera pari a circa 4mila decessi. Tra le misure per ridurre il rischio di infarto rimane ai primi posti il trattamento del colesterolo Ldl, quello cosiddetto cattivo. Le terapie per abbassare il colesterolo, soprattutto quelle che prevedono l’associazione di farmaci, si confermano efficaci nel ridurre il numero di infarti e di ictus. Tra le patologie che influenzano il sistema cardiovascolare sono quelle che riguardano il rene, come la malattia renale cronica.
Medici di Medicina Generale, Cardiologi e Nefrologi sono chiamati, dunque, ad un approccio a 360* del paziente, una sfida ambiziosa che oggi puo’ contare su un nuovo strumento: grazie al contributo educazionale di MSD Primary Care, e’ stato messo a punto un opuscolo dal titolo ”Gestione del paziente con malattia renale” presentato oggi a margine del 74mo Congresso della Societa’ Italiana di Cardiologia. Destinata ai medici, la pubblicazione nasce dalla collaborazione di un gruppo di Clinici, Cardiologi e Nefrologi con competenze diverse ma complementari, e si propone di fornire al lettore un inquadramento diagnostico-terapeutico pratico che partendo da una solida analisi fisiologica, non trascuri di segnalare le aree di incertezza ad oggi presenti e gli argomenti che richiedono ulteriori acquisizioni della ricerca clinica.
“La malattia renale cronica, dice Roberto Pontremoli, Professore Associato di Nefrologia Universita’ di Genova e I.R.C.C.S. Azienda Ospedaliera Universitaria San Martino-IST, Istituto Nazionale per la Ricerca sul Cancro, Genova ”e’ in costante aumento anche in Italia. Questo e’ dovuto all’aumento della vita media, all’aumento dei fattori di rischio per nefropatia (diabete, ipertensione, aterosclerosi, obesita’) e, sostanzialmente, alla mancanza di un trattamento adeguato di questa condizione medica, il cui andamento progressivo puo’ essere rallentato ma spesso non arrestato. L’approccio integrato ai pazienti con malattia renale cronica e’ necessario”. La malattia renale cronica e’ una patologia comune, ad alto rischio cardiovascolare e soprattutto nella fase terminale ad alto rischio di mortalita’, eppure esiste ancora una scarsa consapevolezza della sua importanza sia tra i medici sia tra i pazienti. Ha una prevalenza a livello mondiale di circa il 10% e in Italia si contano circa 3 milioni di malati. E ha un alto costo, che impatta fortemente sul sistema sanitario: i dati piu’ recenti indicano un incremento negli ultimi anni dei pazienti che entrano in dialisi, con stime di 10mila casi incidenti e 50mila casi prevalenti per il 2009, per un costo annuo totale (farmaci esclusi) pari a 50mila euro. ”E’ fondamentale sottolineare che la malattia ha un fattore di rischio indipendente di mortalita’ – avvertono gli specialisti -. Per questo e’ imperativo, nel paziente nefropatico, istituire terapie adeguate nei confronti dei fattori di rischio cardiovascolari tradizionali come ipertensione e dislipidemia”.