Sopravvivere a un tumore, con quali conseguenze, con quale qualità di vita. E’ questo il tema al centro del convegno “Cancer Survivorship Care”, organizzato dalla Fondazione per la Ricerca Ospedale Maggiore – FROM, Azienda Ospedaliera Papa Giovanni XXIII di Bergamo, e dalla Fondazione Internazionale Menarini.
I survivors, come li definiscono gli americani, cioè i sopravvissuti, sono quei pazienti liberi da malattia e che non effettuano nessun trattamento da oltre 5 anni. In Italia i survivors sono più di un milione, oltre il 50% delle persone colpite da tumore, mentre si stima che in Europa e Usa siano più di trenta milioni e che entro il 2020 diventeranno quaranta milioni. Un risultato raggiunto negli ultimi 10-20 anni, grazie alla diagnosi precoce e a terapie più efficaci, evidente soprattutto in alcune forme della malattia. «Per alcune sedi tumorali si registra una buona percentuale di lungo sopravviventi, innanzitutto le leucemie acute infantili e i linfomi di Hodgkin, con percentuali superiori al 70 per cento» spiega Tiziano Barbui, Direttore Scientifico della Fondazione per la Ricerca Ospedale Maggiore – FROM e chairman del congresso. «Buoni risultati anche per i tumori della mammella e dell’ovaio (64 per cento di survivor) e linfoma non Hodgkin (61 per cento)».
Sono indubbiamente buone notizie, ma non va trascurato l’impatto sulla qualità di vita che senza dubbio un tumore determina nelle persone sopravvissute alla malattia. «Le conseguenze dal punto di vista organico riguardano in buona parte gli effetti collaterali dei trattamenti subiti» prosegue Barbui. «Le conseguenze di una terapia con farmaci chemioterapici si possono manifestare dopo diversi anni e possono riguardare cuore, polmoni, reni, sistema ormonale, il tratto gastrointestinale. Anche la radioterapia può provocare problemi a cuore e polmoni. A seguito di un trapianto di cellule staminali, utilizzato soprattutto nelle malattie ematologiche maligne, si può manifestare un’insufficienza di cuore, che può essere più o meno grave ma che è comunque debilitante e anche delle coronaropatie, o un’angina.
Nel bambino con leucemia, a causa di alcuni trattamenti, una volta adulto si possono manifestare segni neurologici tardivi. L’elenco delle conseguenze prosegue con casi di menopausa precoce, osteoporosi, stanchezza cronica, dolori alle ossa, dolore fantasma, infertilità. Oppure si presenta un secondo tumore, collegabile ai trattamenti del primo o ricondotto all’età che avanza. Per fortuna le terapie odierne tendono a utilizzare basse dosi di chemioterapici e di farmaci, consentendo la sopravvivenza e minimizzando gli effetti collaterali e il rischio di comparsa di altri tumori dopo anni».
Oltre ai problemi organici si possono manifestare disagi psico-sociali, che riguardano tutte le categorie di pazienti, ma sono particolarmente evidenti e gravi nei bambini. Spesso la diagnosi di tumore porta a un conflitto familiare, soprattutto tra i due genitori, che possono determinare anche separazioni tra i coniugi. Ma anche se il tumore non coinvolge bambini il rischio che la coppia vada in crisi è particolarmente elevato.
In uno studio pubblicato sulla rivista Cancer, ricercatori del Seattle Cancer Care Alliance di Seattle, Stati Uniti, hanno analizzato le statistiche dei casi di divorzio di 515 pazienti colpiti da varie forme di tumore, seguiti per un arco temporale di cinque anni, dal 2001 al 2006. I risultati hanno confermato quanto era già emerso dai pochi studi sul tema svolti in passato: circa il 12 per cento delle coppie va incontro a divorzio o separazione se uno dei due coniugi sviluppa il cancro.
Un altro problema riguarda il reinserimento lavorativo dopo la malattia. Secondo uno studio condotto al Coronel Institute of Occupational Health di Amsterdam e pubblicato dalla rivista Journal of the American Medical Association (Jama), un sopravvissuto su tre non riesce a reinserirsi nel mondo del lavoro una volta terminate le terapie.
Alla luce di queste problematiche, si può affermare che i survivors hanno bisogno soprattutto di assistenza e sostegno, ma sono necessarie anche direttive di trattamento specialistiche e ben definite, personale abilitato, materiale informativo specifico e strutturato. Qualcosa si sta muovendo: il Ministero della Salute ha finanziato un progetto nazionale di riabilitazione oncologica, e un alcuni ospedali sono sorti ambulatori per i survivors e cliniche rivolte ai pazienti oncologici guariti o lungoviventi con almeno 5 anni di storia di assenza di malattia oncologica e senza trattamenti oncologici in atto. Perché una qualità di vita accettabile è la vera e definitiva liberazione dalla malattia.
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