Giovani e vitali, le donne colpite da tumore al seno metastatico lottano con coraggio contro la malattia

La fotografia delle donne colpite da tumore al seno metastatico tracciata dall’indagine di GfK Eurisko per Europa Donna Italia, non è molto diversa da quella delle coetanee sane nella stessa fascia d’età: hanno in media 54 anni, mentre circa il 30% ne ha meno di 45 e una vita affettiva, relazionale e familiare molto intensa. La maggioranza è, infatti, sposata e la metà ha un figlio ancora minorenne. Il 40% lavora. Ma proprio perché ancora giovani e socialmente, professionalmente e sessualmente attive, la malattia ha sulla loro vita un impatto ancora più importante: per il 66% delle intervistate la malattia interferisce in modo consistente con lo svolgimento delle normali attività quotidiane, percentuale che sale al 70% in riferimento all’attività lavorativa. La malattia e la terapia influiscono anche sulla vita affettiva e sessuale e a soffrirne sono, in modo ancora più accentuato, le donne più giovani (tra i 35 e i 45 anni). “Il tumore viene descritto da molte come un mostro, una bestia, crudele, indomabile, inarrestabile. Una presenza scomoda, inaspettata e subdola.” – spiega Isa Cecchini, direttore del dipartimento GfK Eurisko Healthcare, che ha condotto l’indagine, a cui hanno aderito 84 donne affette da carcinoma metastatico al seno – Ma le donne non si lasciano sopraffare dalla malattia, non si arrendono. Si sentono, anzi, impegnate in una lotta per la vita: uno scontro in cui si sentono parte attiva, protagoniste del proprio destino.”

Coinvolgere queste donne, chiedendo loro di mettere a nudo le proprie fragilità, anche su aspetti intimi e delicati come quelli della sfera affettiva e sessuale, non è stato facile. “Partendo dalla mia esperienza di paziente con tumore al seno dall’età di 18 anni e di membro del Consiglio Direttivo di Europa Donna, ho ideato questa ricerca e ho partecipato in prima persona alla prima stesura del questionario e al reclutamento delle intervistate, al fianco di Eurisko, per garantire un’attenzione, una sensibilità ed una cura ancora maggiori nell’approccio alle donne che hanno accettato di partecipare – racconta Francesca Balena, paziente e Consigliere Europa Donna Italia – “Superate alcune ritrosie iniziali, le donne intervistate sono state estremamente disponibili ad aprirsi e raccontarsi. E questo ci ha consentito, non solo di raccogliere dati importanti sui loro bisogni da portare all’attenzione degli operatori sanitari, dell’opinione pubblica e delle Istituzioni, ma ha anche offerto loro un’opportunità importante di confronto reciproco e condivisione, che si è rivelato prezioso per sentirsi meno sole, unite dalle stesse difficoltà e dalla stessa determinazione a combattere contro la malattia.”

Una determinazione ed una forza che sono proprie anche del Movimento di Europa Donna Italia, che nasce proprio per promuovere e difendere i diritti e le istanze delle donne colpite da tumore al seno e che, nell’ambito di questo suo impegno, ha creduto nell’importanza di dare voce, con questa indagine, proprio a loro, alle donne colpite da tumore al seno metastatico, per accendere i riflettori sul loro vissuto, sulle difficoltà che incontrano nel quotidiano, sui loro bisogni e le loro paure. “Europa Donna ha tra i suoi obiettivi la promozione della migliore qualità della cura per le donne con tumore al seno.
Impegno ancora più forte quando si tratta di pazienti con tumore metastatico, che si misurano con una patologia che si presenta sotto altre forme nel corso degli anni.” – spiega Antonella Moreo, Delegato Europeo Europa Donna Italia.- “Se da un lato, oggi, la medicina punta a cronicizzare queste pazienti permettendo loro di vivere nonostante la malattia, dall’altro è preciso compito di un gruppo di advocacy attivarsi perché questa tipologia di pazienti possa ricevere da parte del Sistema Sanitario nel suo complesso, cure e attenzioni adeguate e rispondenti ai loro bisogni specifici.”

I principali bisogni segnalati dalle intervistate sotto il profilo terapeutico sono soprattutto legati ad una migliore gestione degli effetti collaterali, che include in ordine di importanza le seguenti esigenze: riuscire a prevenire il più possibile questi effetti collaterali (ritenuto molto importante dall’80% del campione), poterli gestire con farmaci specifici (molto importante per il 73%), avere accesso a farmaci gratuiti, potersi, infine, rivolgere allo specialista nei momenti di bisogno (molto importante per il 76% delle donne). Per tutte le intervistate, la comparsa delle metastasi ossee ha segnato drammaticamente la ripresa della malattia, determinando un forte impatto emotivo: 8 donne su 10 si sono sentite preoccupate e in ansia, mentre circa la metà si è sentita depressa, impossibilitata a svolgere le normali attività quotidiane ed ha avuto problemi di sonno. Ed è proprio contro le metastasi che si vuole combattere, per arrestare o stabilizzare il progredire della malattia e poter vivere con speranza la propria quotidianità. “Disporre di un trattamento specifico per le metastasi ossee è ritenuto importante dall’intero campione delle intervistate, che lo reputano fondamentale per poter rallentare l’evoluzione della malattia e sostenere la speranza.” – continua Isa Cecchini.

“In Italia ogni anno vengono diagnosticati circa 12.000 nuovi casi di carcinoma mammario metastatico. Ad oggi, le donne colpite nel nostro Paese sono circa 30.000, più di quelle colpite da altri tumori femminili quali quello all’utero e all’ovaio. Ciononostante l’attenzione sia da parte degli operatori sanitari sia dei media si concentra spesso su altre forme tumorali o, nel caso del carcinoma mammario, ci si sofferma solo sui casi, fortunatamente la maggioranza (circa l’87%), che guariscono – commenta Lucia Del Mastro, oncologa dell’Istituto Nazionale per la Ricerca sul Cancro di Genova – Di conseguenza le pazienti con carcinoma mammario metastatico manifestano spesso una sensazione di abbandono e di isolamento. Fortunatamente l’attività di ricerca per individuare trattamenti sempre più efficaci e meno tossici, più personalizzati, continua ed è proficua. E’ da poco disponibile anche in Italia un nuovo farmaco, il denosumab, un anticorpo monoclonale che, rispetto ai difosfonati, riduce ulteriormente l’incidenza delle complicanze scheletriche e ne ritarda la comparsa. Il tempo mediano che intercorre tra la diagnosi di metastasi ossee e lo sviluppo di complicanze scheletriche è passato da circa 11 mesi in assenza di terapie specifiche a circa 26 mesi con l’utilizzo del difosfonato ad oltre 32 mesi con denosumab. ”

Oltre ai bisogni terapeutici, la metà delle donne intervistate sente il bisogno di un maggior ascolto e supporto, soprattutto da parte del medico, mentre il 70% desidererebbe un maggior aiuto nella quotidianità soprattutto dalle persone più vicine (il partner e i figli). Due donne su tre sentono il bisogno di essere maggiormente informate sulla malattia e sul trattamento, principalmente dal medico, al quale chiedono, nello specifico: che dedichi loro del tempo e le ascolti (95%), le informi correttamente sull’efficacia della terapia e sugli effetti collaterali (94%), si dimostri comprensivo e vicino (86%) e concordi insieme a loro le decisioni da prendere (81%). Rispetto al futuro, anche di fronte all’attuale crisi economica e alle prospettive di spending review sanitaria, sono forti i timori di perdere i diritti di assistenza e cura da parte di più della metà del campione. In particolare, la paura più grande, segnalata da ben il 91% delle donne intervistate, è quella di perdere il diritto all’erogazione di farmaci per la gestione della malattia, che, per queste pazienti, sono realmente salva-vita.

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