Cellule staminali, un “bacio letale” per sconfiggere la leucemia

Riconoscere e colpire le cellule staminali leucemiche, sradicare e distruggere le cellule che danno origine e alimentano il tumore: è questo l’obiettivo principale delle moderne terapie. Ed è stato anche il tema principale del convegno “Nuove frontiere nelle terapie cellulari e molecolari”, organizzato dall’Istituto Giannina Gaslini di Genova e promosso dalla Fondazione Internazionale Menarini.
Circa l’80 per cento dei pazienti, adulti e pediatrici, con linfoma non-Hodgkin o leucemia linfoblastica acuta ottengono la remissione completa della malattia con i trattamenti abituali. Nel restante 20 per cento, però, la malattia riappare, per cui devono essere trattati con alte dosi di chemioterapia e trapianto di cellule staminali autologhe (cioè del paziente stesso). E nella metà di essi sfortunatamente la malattia ritorna, con alto rischio di mortalità, soprattutto se le recidive si presentano entro sei mesi dal trapianto. Principali imputati della rigenerazione della malattia sono le cellule staminali tumorali.
«Le cellule staminali del cancro danno origine a tutte le cellule tumorali, quindi se riusciamo a eliminare la fonte di tutte le cellule riusciamo a eliminare il tumore» spiega Lorenzo Moretta, direttore scientifico dell’Istituto Gaslini di Genova e presidente del convegno. «Per questo le ricerche sono focalizzate sull’identificazione e l’eliminazione delle cellule staminali del cancro».
La ricerca mondiale va nella direzione che ha consentito a John Gurdon (Oxford e Cambridge) e Shinya Yamanaka (Kyoto) di vincere il premio Nobel per la Medicina 2012. Stiamo assistendo a una rivoluzione dei fondamentali concetti di biologia cellulare che apre le porte a formidabili potenzialità terapeutiche.
«Molto spesso i farmaci a disposizione eliminano le cellule derivate dalle cellule staminali leucemiche ma non queste ultime» afferma Francesco Frassoni, direttore del Laboratorio “Cellule Staminali e Terapie Cellulari” del Gaslini. «E’ per questo motivo che il tumore può ripresentarsi. Per sconfiggerlo abbiamo iniziato a manipolare il sistema immunitario, ingegnerizzando le sue cellule per renderle più attive contro le cellule tumorali».
Gli studi sono decisamente impegnativi e richiedono sforzi non indifferenti. Il Gaslini dal 2012 ha aperto una nuova struttura, denominata “Cell factory” cioè “fabbrica di cellule”, per lo studio delle cellule staminali e per l’allestimento delle terapie cellulari. Sono strutture che necessitano di importanti investimenti sia in capitale umano competente sia in finanziamenti adeguati.
«Cellule del sistema immunitario o loro prodotti (anticorpi monoclonali o citochine, e in particolare i linfociti dell’immunità specifica, i linfociti T) vengono usati con successo per la cura di alcuni tumori e leucemie particolarmente aggressive» spiega Moretta. «I linfociti T, però, hanno recettori che sono tutti diversi tra loro, quindi sono rare le cellule che hanno un recettore in grado di riconoscere le cellule del tumore o della leucemia. Stiamo quindi creando cellule killer a cui in laboratorio viene conferito un recettore specifico per cui sono in grado di riconoscere il tumore».
Una sorta di “super cellule” con la doppia funzione di riconoscere e uccidere le cellule tumorali.
«Effettivamente è così. Si tratta di anticorpi monoclonali che creano una sorta di ponte tra le cellule tumorali, in particolare le cellule della leucemia linfoblastica acuta, e i linfociti T che le distruggono» commenta Franco Locatelli, direttore del reparto di Oncologia all’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù di Roma. «Una sorta di “bacio letale” capace di sconfiggere il tumore, e siamo confortati dai primi risultati positivi. Recentemente sulla rivista New England Journal of Medicine sono stati riportati i casi di due bambini con leucemia linfoblastica acuta in cui si è ottenuta una remissione, e in uno dei due probabilmente una guarigione definitiva».
Alcune terapie sono in sperimentazione anche al Gaslini e rappresentano una risorsa molto importante per tutti quei pazienti in cui le terapie “standard” hanno fallito.
I ricercatori di tutto il mondo stanno sviluppando un nuovo gruppo di agenti in grado di potenziare l’attività immunologica contro i tumori. Queste sostanze, denominate BiTE (bi-specific T-cell engagers) sono appunto in grado di legarsi contemporaneamente a due diversi tipi di antigene, un citotossico cellulare (usando un recettore come il CD3) e l’obiettivo terapeutico: le cellule tumorali da distruggere. Una sostanza, blinatumomab, agisce contro il linfoma non-Hodgkin e contro la leucemia linfoblastica acuta. Gli studi dimostrano che blinatumomab, legandosi alle cellule T, riesce a localizzare ed eradicare le cellule tumorali nel midollo spinale, riuscendo, in alcuni bambini, a determinare la completa remissione del tumore. Un’altra sostanza denominata brentuximab vedotin, recentemente approvata dalla Food And Drug Administration per il trattamento degli adulti con linfoma non-Hodgkin recidivo o refrattario e contro la leucemia linfoblastica acuta, si è dimostrata efficace anche nei bambini, determinando una completa remissione della malattia nel 67 per cento dei bambini trattati e una stabilizzazione della malattia nei rimanenti.
In attesa che questi nuovi farmaci siano disponibili, gli esperti lavorano anche su nuove tecniche per migliorare i trapianti di midollo, e anche in questo caso le protagoniste sono le cellule staminali, questa volta in positivo.
«Tutte le cellule del sangue derivano da un’unica cellula staminale progenitrice e isolare le cellule staminali del sangue è molto importante per i trapianti» commenta Moretta. «Oggi si tende a trapiantare cellule staminali autologhe (cioè del paziente stesso) per evitare complicazioni gravi come il rigetto. Bisogna però riconoscere le cellule staminali per poterle purificare. Sappiamo che le cellule staminali del sangue hanno un antigene, il CD34, che si può marcare. In questo modo riusciamo a separare le cellule purificate che possiamo poi trapiantare nel paziente. E progressi sono stati ottenuti anche nei casi di trapianto da donatore, grazie al trapianto aploidentico, cioè quando il donatore è un familiare. In pazienti con leucemie ad alto rischio l’unico modo per ottenere la guarigione è con il trapianto di midollo. Il donatore deve essere compatibile, e riusciamo a trovare un donatore compatibile in circa il 60% dei casi. Per il restante 40% oggi è possibile utilizzare il trapianto aploidentico, grazie al quale il 70% dei bambini riesce a guarire da leucemie altrimenti mortali».
La ricerca, naturalmente, oltre alla leucemia guarda anche ad altre forme tumorali. Al Gaslini sono in corso studi per identificare le cellule staminali del melanoma e utilizzare cellule natural killer per eliminare sia le cellule del tumore sia le cellule staminali tumorali. «Altre ricerche riguardano il neuroblastoma, il tumore solido più frequente nell’età pediatrica, che nelle forme metastatiche è ancora letale in più del 50 per cento dei casi» prosegue Locatelli. «Anche qui ci sono studi che dimostrano come è possibile ingegnerizzare i linfocii con un recettore chimerico per una molecola espressa sulle cellule di neuroblastoma, legarle ed eliminarle grazie alle cellule killer».
La ricerca continua, nei laboratori di tutto il mondo si stanno preparando le terapie del futuro.

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