Un’indagine Doxa sui pazienti con ipotiroidismo conferma che, nel vissuto del paziente, c’è un prima e un dopo la malattia, anche se i sintomi sono poco evidenti, e le cure oggi disponibili più che risolutive. Il 37% delle persone che soffre di ipotiroidismo dichiara infatti di sentirsi “diverso” da quando ha questo problema e il 31% è preoccupato per la “dipendenza a vita” da un farmaco. Chiari segni di un impatto importante, se non altro psicologico, della malattia sulla qualità della vita. Nonostante questa preoccupazione, tuttavia, sono 2 su 3 i pazienti che ammettono di non rispettare le indicazioni di cura del proprio medico; cattiva abitudine che trova riscontro nelle dichiarazioni degli stessi medici che ritengono che 1 paziente su 2 (il 48%) abbia scarsa adesione alla terapia con levotiroxina, l’ormone tiroideo, farmaco di riferimento per la cura dell’ipotiroidismo.
“La ricerca, realizzata attraverso l’analisi di un questionario somministrato in parallelo al medico e al paziente, aveva l’obiettivo di comprendere le abitudini dei pazienti circa l’adesione alla terapia e la modalità di assunzione dell’ormone tiroideo”, espone Giuseppe Venturelli – responsabile della ricerca Doxa. Diversi studi evidenziano infatti che in molti casi, la mancata risposta clinica alla terapia con levotiroxina possa dipendere da errate modalità di assunzione del farmaco.
“Circa il 3% degli Italiani è in terapia sostitutiva tiroidea, precisa Enrico Papini – Associazione Medici Endocrinologi, Direttore UOC Endocrinologia e Malattie Metaboliche Ospedale Regina Apostolorum, Albano Laziale. Poiché la media dell’età di inizio del trattamento è di poco superiore ai 40 anni, la terapia sostitutiva è destinata ad influenzare il benessere della maggior parte dei pazienti ipotiroidei per un periodo di oltre 30 anni. La levotiroxina (L-T4) in monoterapia rappresenta il trattamento di scelta nei pazienti ipotiroidei che, grazie alla sua lunga emivita, assumono una singola dose giornaliera, la cui quantità deve però essere calibrata attentamente persona per persona. Purtroppo, in alcuni pazienti, anche dopo ripetuti aggiustamenti, non si riesce a ottenere il risultato desiderato. Possibili cause sono il ridotto o variabile assorbimento della LT4 causato da farmaci, alimenti o patologie gastroenteriche che provocano malassorbimento. In questi casi, approcci utili sono la modifica del momento di assunzione oppure il cambiamento della formulazione della levotiroxina, che in fase liquida può essere assorbita più rapidamente e costantemente di quella solida”, conclude Papini.Affinché la levotiroxina sia pienamente efficiente, si raccomanda di prenderla la mattina, a digiuno, e di attendere almeno 30 minuti prima di fare colazione. L’indagine Doxa rivela invece che il 66% dei pazienti fa colazione prima dei 30 minuti raccomandati. La cura dell’ipotiroidismo è piuttosto semplice, basta un solo farmaco, ma trova proprio nelle indicazioni d’uso il suo tallone d’Achille: la fretta peculiare delle prime ore della mattina. È una motivazione certamente poco scientifica, ma molto umana: chi non desidera bere il caffè appena alzato? E se questo piccolo piacere è negato vita natural durante, l’aderenza alla cura può essere notevolmente compromessa. Ben il 36% delle persone con ipotiroidismo, infatti, dichiara che aspettare i canonici 30 minuti “pesa”, secondo l’indagine Doxa condotta su 243 pazienti, rappresentativi della popolazione italiana, e promossa da IBSA Farmaceutici, che proprio lo scorso anno ha messo a punto l’innovativa formulazione liquida monodose della levotiroxina, più maneggevole, in grado di migliorare sensibilmente la qualità di vita dei pazienti e l’aderenza alla terapia.