Approfondire le cause della fibromialgia, non solo tra medici e paramedici, ma soprattutto con gli stessi pazienti che ne sono affetti. Questo il focus dell’XI Congresso Nazionale dell’Associazione Italiana Sindrome Fibromialgica ONLUS, che si svolgerà sabato 13 Aprile, presso l’Azienda Ospedaliera Polo Universitario “L. Sacco” di Milano. L’AISF ONLUS, nata oltre 10 anni fa allo scopo di destare maggiore attenzione intorno alla fibromialgia, patologia a lungo sottodiagnosticata e sottotrattata, anche quest’anno chiama a raccolta pazienti, comuni cittadini, clinici, fisioterapisti, psicologi, medici del lavoro e politici per trattare un nuovo specifico aspetto della patologia.
Solo in Lombardia, la fibromialgia colpisce oltre 290.000 persone – in linea con la media nazionale che vede una prevalenza del 3% della popolazione – ed è una malattia prevalentemente femminile, con un rapporto di 1 a 9 tra uomini e donne, nelle quali l’esordio tende a verificarsi in età pre-menopausale. Si manifesta come un vero e proprio “assemblaggio di dolori”, non solo a livello muscolare, ma in tutto quello che “si muove” all’interno dell’organismo, causando ad esempio sofferenza nel tratto gastrointestinale, cefalee emicraniche o muscolo-tensive. A questo si sommano stanchezza cronica, disturbi del sonno e di carattere neuro-cognitivo, a volte problemi degli occhi che diventano meno fluenti. Spesso la patologia ha un ritardo diagnostico che può aggirarsi anche in anni; i pazienti consultano diversi medici senza arrivare a una soluzione, venendo perfino etichettati come malati immaginari.
“Cercheremo di fornire risposte alla domanda fondamentale che si pone chi soffre di questa malattia ‘perché si diventa fibromialgici?’. Da qui il titolo stesso del Congresso”, dichiara il dottor Piercarlo Sarzi Puttini, Presidente AISF ONLUS e Direttore Unità Operativa di Reumatologia A.O. Luigi Sacco. “La patologia è caratterizzata da una ridotta soglia di sopportazione del dolore dovuta ad alterazioni a livello di sistema nervoso centrale, che portano il paziente a sentire dolore anche per stimoli che di solito non dovrebbero provocarlo. A partire da una predisposizione genetica, molteplici sono le cause che possono innescare questa condizione: eventi stressanti, traumi fisici o psichici, depressione, disturbi di personalità o malattie infiammatorie croniche. Passeremo quindi in rassegna tutti questi aspetti e li analizzeremo, per contribuire a una migliore conoscenza della sindrome fibromialgica da parte di chi ne soffre e da parte di chi la deve curare”.
Ancora oggi, in effetti, si evidenzia un forte bisogno informativo verso questa condizione, non ancora riconosciuta quale malattia vera e propria, con le difficoltà che ne conseguono a livello diagnostico-terapeutico. “Sul fronte dei trattamenti farmacologici, ad esempio, mentre negli Stati Uniti ci sono tre farmaci che hanno l’indicazione per la fibromialgia – sottolinea Sarzi Puttini –, in Europa usiamo questi stessi farmaci, che hanno però indicazione per il dolore cronico diffuso, o sono classificati come antidepressivi o anticonvulsivanti i quali, con altri meccanismi d’azione, agiscono sui neurotrasmettitori del dolore innalzandone la soglia. A questo proposito, di fondamentale importanza è il dialogo che il clinico instaura col proprio assistito, cui deve spiegare che la prescrizione dell’antidepressivo avviene non tanto perché lui abbia la depressione, condizione che comunque a volte si accompagna alla sindrome fibromialgica, ma perché si vuole agire in senso antidolorifico”.
La comunicazione medico-paziente nell’ambito di un’efficace gestione della patologia fibromialgica assume quindi un ruolo essenziale. In particolare nel momento della diagnosi occorre, da parte di chi cura, un intenso sforzo di ascolto del racconto del malato, dei segni e dei sintomi che riferisce, perché solo così si può effettivamente individuare la malattia, altrimenti non rintracciabile secondo parametri organici, marcatori, lastre, esami di laboratorio. Una diagnosi sbagliata, che spesso attribuisce un’etichetta infiammatoria al problema, porta poi il paziente a sottoporsi a trattamenti inadatti. “In Lombardia, grazie anche all’attività di AISF ONLUS, la fibromialgia viene diagnosticata sempre di più – aggiunge Sarzi Puttini -, anche dalla medicina del territorio. E per rafforzare l’alleanza di cura con i pazienti, l’Associazione ha realizzato un manuale rivolto a loro, affinché possano documentarsi sulla malattia. Noi medici abbiamo infatti una funzione di ‘coach’, dobbiamo supportare il malato nel gestire il proprio percorso terapeutico”.
Questo percorso, oltre al trattamento farmacologico, deve prevedere la fisioterapia, che aiuta ad innalzare la soglia del dolore, per lo meno per la parte muscolo-scheletrica, e la terapia psicologica, che permette al paziente di comprendere meglio le sue problematiche e se ci sono meccanismi di comportamento che possono essere modificati per migliorare lo stato di salute. Sono molte quindi le figure professionali coinvolte nella cura della fibromialgia; solo con questo approccio multidisciplinare è possibile gestirne la complessità.
La sindrome fibromialgica è, inoltre, una malattia dal pesante impatto economico: una quota di pazienti viene ricoverata in ospedale, una quota è gestita in ambulatorio, generando numerose visite e trattamenti terapeutici durante tutto l’arco dell’anno. “Recenti studi hanno rilevato come il paziente fibromialgico perde molte giornate di lavoro e alcuni possono arrivare anche a perdere il posto. Situazioni di questo tipo andrebbero evitate, perché l’occupazione per il paziente è un’importante fonte di distrazione dai sintomi e di mantenimento di collegamento con la vita sociale, che altrimenti rischierebbe di perdersi o di limitarsi all’ambiente familiare”, conclude Sarzi Puttini.
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